lunedì 26 settembre 2016

LA "VARESE - CAMPO DEI FIORI" IL I° CIRCUITO AUTOMOBILISTICO DI VARESE


Dal 1931 al 1960, dieci edizioni velocistiche della Coppa dei Tre Laghi e Varese - Campo dei Fiori con piloti professionisti e Case ufficiali. 

Dal 1990 ad oggi il club Auto Moto Storiche Varese ripropone l'evento in chiave regolaristica.


In una terra, quale il Varesotto, che per oltre cent'anni ha espresso grandi opere nel settore della meccanica e nel design, tra motori e carrozzerie note in tutte il mondo, un grande evento è stato la sintesi di passione, lavoro, sport e successo popolare. E' la Coppa dei Tre Laghi e Varese - Campo dei Fiori, sorta ad opera di RACI Milano e Automobile Club Varese nel 1931 e di cui si sono disputate dieci edizioni velocistiche, cinque prima e cinque dopo la seconda guerra Mondiale. Un'icona di straordinaria bellezza e grandi imprese, fino al 1960.Quelle dieci edizioni velocistiche della Coppa dei Tre Laghi e Varese - Campo dei Fiori resteranno nella storia: le prime cinque esprimendo temerarietà, ardimento, grande spirito di sfida e sperimentazione. Le ultime cinque, nel dopoguerra, come dimostrazione di sportività estrema, grande cimento agonistico, brillante partecipazione di grandi piloti e raffinati gioielli di Case costruttrici.


Nel giugno 1935, il vincitore fu Gian Maria Cornaggia Medici su Alfa Romeo 8C 2300 che coprì i 10 km della cronoscalata dalla zona Ippodromo al Gran Hotel Campo dei Fiori in 8 minuti 22 secondi e 4 decimi. Dietro di lui altre Alfa: Tito Musso, Gianni Battaglia, Luigi Pages, specialisti delle salite nazionali. Tra i ritirati eccellenti Edoardo Bulgheroni ed Emilio Villoresi entrambi su Fiat 508, traditi dal motore. Nell’estate dello stesso anno, si disputò il 1° Circuito di Varese (21 luglio 1935): lungo 3,4 km. copriva per trenta giri ben 100 km nella zona di Biumo, via René Vanetti e Valle Olona. Folla oceanica e divertita da passaggi e spettacolo. La vittoria andò a Vittorio Belmondo su Alfa Romeo 8C 2600 della scuderia Alfa diretta da Enzo Ferrari.


Per saperne di più: http://varesecampodeifiori.it/


domenica 25 settembre 2016

L'ULTIMO SALUTO AUSTRIACO AL CAMPANILE DI SAN VITTORE (VA)


"30 MAGGIO 1859
SALUTO DI TIRANNIDE STRANIERA"
Così recita la lapide accanto a una palla di cannone confitta da 152 anni nel muro della chiesa.
Il 30 maggio 1859 infatti, il felmaresciallo Karl Urban, (comandante del contingente austriaco) prima di lasciare definitivamente Varese fece bombardare la città e la memoria di tale bombardamento è a tutt’oggi rappresentata: da 26 sbrecciature sul lato ovest del campanile del Bernascone e da tre palle di cannone infisse nel muro della basilica di S.Vittore.
Di fianco alla Basilica la Torre Campanaria, detta anche “del Bernascone”, che si alza maestosamente di fianco alla Basilica di San Vittore. Con i suoi quasi ottanta metri di altezza, e la base quadrata di metri 10,85 per lato, la Torre è un notevole monumento architettonico, testimonianza esemplare del tardo manierismo imposto nella diocesi milanese dai Borromei.
Il Iato esterno del Campanile verso il sud, conserva le tracce di molte palle di cannone: sono quelle fatte sparar dal generale austriaco Urban, nel 1859, per “punire” la Torre di aver suonato a festa i suoi bronzi, quando in Varese entravano, vittoriosi e liberatori, i Garibaldini. In quei giorni maggio in cui i Cacciatori delle Alpi e la popolazione di Varese si opposero alle truppe e ai cannoni austriaci del feldmaresciallo Karl von Urban.
Il popolo varesino si mosse compatto, basti pensare alle monache di clausura del Sacro Monte, le romite ambrosiane, che accolsero i varesini in fuga dai bombardamenti austriaci e cucinarono per loro». Il tenente maresciallo von Urban, rientrato in città dopo il primo scontro, chiese alla città il pagamento di una forte somma per riscattare il tradimento: i varesini – patrioti e non proprio prodighi – si rifiutarono e il buon austriaco – che già aveva soffocato nel sangue il ’48 ungherese – fece spararecon i cannoni sulla città. «Sparavano da Bosto sul centro, come avevano sparato su Biumo durante la battaglia.
Il ricordo di quel bombardamento ha lasciato tracce che si vedono ancor oggi: i buchi e le pietre scalfite del campanile di San Vittore e le palle di ferro ancora all’interno dei muri del tiburio (la cupola sopra la basilica). Qui c’è una lapide, riscoperta di recente, che ricorda il "saluto della tirannide straniera", gli austriaci che da grandi riformatori illuminati si erano trasformati in oppressori agli occhi degli abitanti della penisola.




mercoledì 7 settembre 2016

DISCESA NEGLI ABISSI - GROTTA DEL REMERON, COMERIO (VA)

A soli 10 minuti di auto da Varese, nella cornice del Parco Campo dei Fiori, è possibile addentrarsi nel cuore della montagna, scendendo lungo il percorso turistico illuminato e in sicurezza, sino alla profondità di circa 50 metri.
Manca solo Caronte con la sua barca e poi questa profondissima cavità nella montagna potrebbe apparire la scenografia perfetta di una discesa agli Inferi di dantesca memoria.
Siamo a Comerio, pochi chilometri sopra Varese, su un terrazzo panoramico che spazia sul suo lago e sul vicino laghetto di Monate, ed il monte è quello a noi notissimo del Campo dei Fiori.
Essendo costituita per lo più da rocce calcaree, la montagna è attraversata da gallerie naturali (al momento esplorate per 30km) e forata da tante grotte scavate dall’acqua. Del centinaio censite nel territorio del Parco, la Grotta del Remeron è con la Marelli e con quelle della Valganna, una delle più note.
Fu Luigi Bertarelli il primo a calarsi nella Grotta del Remeron. Correva l’anno 1900 e quel “Büs”, largo appena 50cm, benché noto ai contadini della zona, non era mai stato esplorato, forse per la scomodità, o forse per la supposta presenza di animali. Bertarelli, appassionato cultore delle bellezze italiane nonché fondatore del Touring Club Italiano, insieme ai sacerdoti di Comerio e di Barasso e all’amico Luigi Origoni, sfidò il buio e l’ignoto.
Un ponte naturale, poi un precipizio, una grande caverna con qualche stalattite millenaria e infine un lago (che prenderà il nome di Bertarelli) a quota -168 metri: questo lo “spettacolo indimenticabile”, come lo descrive lo scopritore, che apparve alla luce fioca delle lampade al magnesio. Un secondo lago, situato a -210 metri, fu intitolato nel 1951 a Felice Binda. Ma la grotta scendeva ancora: al momento le cavità esplorate raggiungono i 524m di profondità.
Nel 1913 iniziarono i lavori per rendere accessibile al pubblico questo “viaggio al centro della terra”. I primi turisti vi discesero nel 1914, sfruttando un impianto all’acetilene e una scala. E Comerio, anche grazie alla grotta, divenne un’ambita meta turistica. Nel frattempo proseguirono le esplorazioni in questo antro misterioso, originato dal carsismo che perfora il monte come un groviera. Una Madonna degli Abissi fu posizionata a venti metri di profondità. Negli anni Settanta altre sale furono scoperte dal CAI. Dopo una chiusura per ragioni manutentive, la Grotta del Remeron ha riaperto l’accesso nel 2004, grazie alla messa in sicurezza dei primi 40 metri da parte dell’Ente Parco Campo dei Fiori e alle visite guidate dell’Associazione Amici del Remeron.
per info sulle visite guidate: http://www.grottaremeron.net








lunedì 5 settembre 2016

LA FIERA BESTIA CHE MANGIAVA I BAMBINI - UNA STORIA DELLA MILANO SETTECENTESCA

La battaglia contro i lupi fu piuttosto dura e impensierì più volte le autorità laiche e religiose, raramente però nei secoli passati i lupi hanno portato la loro minaccia alle porte di Milano.
In questo ambiente, esterno ed estraneo alla città, i lupi erano numerosi e spadroneggiavano senza infastidire molto l’altro e più forte predatore: l’uomo. Soltanto nei periodi di carestia le due specie venivano allo scontro, ed era in genere il lupo che attaccava. I casi più drammatici, quelli del 1765-67, ebbero come protagonisti dei lupi idrofobi e i danni più rilevanti furono causati dalla malattia contratta dai morsi del lupo più che dai morsi stessi.
Nel 1792 le cose però andarono ancora diversamente. Dal 5 luglio al 2 settembre, un animale dall’aspetto pauroso e vagamente somigliante ad un lupo uccise quattro ragazzi e sei ragazze, tutti compresi tra i 6 e i 13 anni di età, ferì gravemente un’altra ragazza e assalì alcune persone adulte. Non era un periodo di carestia, né l’animale era idrofobo. Forse non era nemmeno un lupo.
Nella Biblioteca Braidense si trova un opuscolo di 67 pagine intitolato “Giornale circostanziato di quanto ha fatto la Bestia feroce nell’Alto Milanese dai primi di Luglio dell’anno 1792”.
L’anonimo autore, gazzettiere (giornalista) dell’epoca, racconta in tempo reale ciò che iniziò il 4 luglio del 1792, a Cusago.
Domenico Cattaneo, 13 anni, aveva portato la vacca al pascolo; giunta sera però non era tornato a casa.
Il padre allarmato cose a cercarlo insieme ad altri; nel bosco trovò la vacca che pascolava, le vesti del bimbo sporche di sangue e accanto il corpo del bimbo, quasi del tutto divorato.
"Livido n’ era, e sommamente gonfio il volto; ma mancante del naso: mangiato n’ era il petto, e quanto restava esposto alla voracità della Fiera di quel corpo supino: le braccia, le gambe, e gli intestini separati dal corpo erano rimasti come un rifiuto; ma il fegato era stato mangiato in parte: del vestito non vedeasi, che qualche resto di camiscia lorda di sangue"
Si incolparono i lupi e si pensò che il bambino, stanco, fosse stato assalito mentre dormiva. Pochi giorni dopo però, il 9 luglio, un gruppo di ragazzi di Limbiate viene assalito da “una brutta bestia, simile a un grosse cane, ma dall’orribile aspetto e di strana forma”. I ragazzi fuggirono, ma il più piccolo, Carlo Oca di 8 anni, venne raggiunto. Quando i contadini accorsero avvertiti dagli altri ragazzi lo trovarono sbranato dalla belva. La notizia si sparse rapidamente seminando il panico tra i contadini. Molti videro o credettero di vedere lo strano animale in località molto distanti tra loro. Qualcuno sparò contro qualcosa, ma senza esito. I bambini erano tenuti chiusi in casa. Le autorità governative, nella persona del conte di Kevenhüller, il 14 luglio pubblicarono un Avviso nel quale si diede notizia dell’uccisione dei due fanciulli da parte di “una feroce Bestia di colore cinericcio moscato quasi in nero, della grandezza di un grosso Cane”. Fu indetta quindi una “generale Caccia” con premio di 50 zecchini per chi avesse ucciso la “predetta feroce Bestia”.
La caccia generale, organizzata da varie città e paesi della zona ad ovest di Milano, non diede alcun esito, neppure quando il premio per “distruggere la Bestia feroce” salì a 150 zecchini. Nel frattempo giravano strane voci sul “Mostro girovago”, segnalato ormai da troppe parti.
Un intraprendente tipografo stampò un’incisione dove la Bestia feroce venne raffigurata con un bambino in bocca, quasi fosse un nuovo tipo di biscione visconteo. Altri sostennero che si trattava di una jena, ricordando che recentemente era passato per Milano un artista girovago con due jene in gabbia. La notizia trovò ancora più credito quando si venne a sapere che questo artista - un certo Bartolomeo Cappellini - era a Cremona dove esibiva una sola jena. Interrogato, diede varie versioni sulla sparizione dell’altro animale, fece le valigie e riparò velocemente nel Veneto.
Più aumentava il premio, più numerosi erano i cacciatori che si lanciavano nell’impresa. Alcuni “professionisti” giunsero anche dalla Vallassina e dalla Valsassina, ma senza alcun esito. Anzi, arrivò ben presto dalla Bestia una tremenda sfida. Il 1° agosto sorprese un gruppo di bambini vicino a Senago, raggiunse Antonia Maria di 8 anni e la trascinò nel bosco dove i contadini che la inseguivano la costrinsero a lasciare la preda ormai moribonda. Sul collo della bambina furono contate 45 ferite. Un testimone fornì questa descrizione dell’animale che suscitò molte perplessità nei funzionari pubblici e un grande terrore nei contadini: “lunghezza di due braccia circa, alta un braccio e mezzo come un vitello di ordinaria grandezza, con la testa simile a quella di un maiale, orecchie da cavallo, peli lunghi e folti sotto il mento come le capre ed il resto del corpo baio rossino sulla groppa e lungo di egual colore sotto la vita, con la coda lunga arricciata, zampe sottili ma larghe alle estremità con unghie lunghe, con un grosso petto che va restringendosi posteriormente.”
Ormai tutta la città e il contado erano terrorizzati. A Milano non si parlava d’altro. Il 7 agosto anche la Municipalità di Milano volle fare qualcosa e decise di offrire “con le dovute cautele” fucili in prestito a chi avesse voluto cacciare la Bestia. Aggiunse altri 50 zecchini al premio offerto dal Governo.
Il 13 settembre erano pronte 18 delle 30 trappole previste. Si stilò il rapporto sull’idoneità da parte dell’ispettore del Beccaria, che il giorno 17 dispose il pagamento ai sacerdoti delle spese sostenute. Il giorno dopo, in un campo detto la Crosazza della Pobbia fuori di Porta Vercellina, distante da Milano miglia 5 circa, un lupo cadde nella trappola. I contadini, sentendolo urlare, lo colpirono con sassi e pertiche e poi lo impiccarono con un cappio.
Iniziò un processo formale di riconoscimento che vide sfilare molti testimoni chiamati a osservare l’animale per capire se era veramente quello veduto da loro durante le drammatiche aggressioni: molti riconobbero nel lupo ucciso la Bestia feroce, alcuni invece affermarono che si trattava di un animale diverso. Il 4 ottobre venne stilata una Relazione che ammise l’identità del lupo con la Bestia feroce, ma con molte riserve, tanto che si proseguì comunque a realizzare le altre 13 fosse, che furono terminate il 30 ottobre. Soltanto il 24 dicembre Beccaria autorizzò l’esposizione al pubblico del lupo, debitamente imbalsamato, in una casa Agli scalini del Duomo (dov’è ora la Rinascente) dalle 9 alle 14 e dalle 17 alle 21. Il biglietto costava 10 soldi a persona e per i nobili ci si rimetteva alla loro discrezione. Nella primavera dell’anno seguente le fosse vennero smontate e rinchiuse. L’incubo era finito, ma solo il 18 gennaio 1794 la Municipalità riconobbe il premio di 50 zecchini ai due sacerdoti, che presero in seguito altri 12 zecchini vendendo il lupo al Museo di Storia Naturale dell’Università di Pavia.

info storiche: http://www.storiadimilano.it/