martedì 18 ottobre 2016

STORIE DI UOMINI ED EROI DI CASA NOSTRA, IL LAPIDARIO DI PALAZZO ESTENSE - VARESE

Il lapidario di Palazzo Estense è storia viva di un territorio e suo particolare legame con le vicende italiane.
Le lapidi presenti nel porticato del palazzo sono dedicate a cittadini illustri per il loro contributo alla storia del Risorgimento, della Liberazione e all'edificazione della Repubblica democratica.
Una galleria di artisti non sempre noti, di coraggiosi sacerdoti e dimenticate vicende storiche che riguardano il varesotto.
Fra i grandi uomini e gli eroi che sono ricordati nel “pantheon” cittadino.
spicca il monumento ai caduti per l’Italia nel 1848, 1860 e 1866 la cui realizzazione fu affidata allo scultore Luigi Gerli che abitava al Sacro Monte.
All’ingegnere Enea Torelli, ricordato da una lapide del 1925, si deve invece il progetto di costruire una ferrovia sul tracciato Varese-Robarello-Campo dei Fiori, mentre un’altra storia interessante è quella del prevosto Benedetto Crespi, teologo domenicano morto il 12 agosto 1858 che per oltre quattro decenni resse la basilica di San Vittore a Varese, distinguendosi per lo spirito di carità a favore dei poveri e dei mendicanti. La popolazione gli era molto affezionata e il sindaco Carlo Carcano volle ricordarlo con un monumento funebre che ebbe la sorte di subire numerosi trasferimenti: pensato per il cimitero, fu collocato nella basilica di San Vittore, poi di nuovo al camposanto e infine nel portico del municipio.
Dal veneziano Vincenzo Dandolo che investì una fortuna nell’acquisto di terreni e case sui colli di Varese al sindaco Carlo Carcano che nominò Garibaldi “cittadino onorario”, dal giornalista mazziniano Giuseppe Bolchini a Giacomo Limido che trasformò Villa Morosini nel Grand Hotel Excelsior nel 1874, il libro ricostruisce la vita e le opere di personaggi che rappresentano “l’orgoglio civico della città”.
Un'altro marmo ricorda Giuseppe Ossola, nato a Lissago (Varese) il 12 ottobre 1901 e deceduto a Roma il 5 marzo 1989. Giovane militante socialista, nel 1924 passò ai comunisti con il gruppo dei "terzinternazionalisti". S'impegnò contro il fascismo sino a che, nel 1926, fu arrestato e condannato a due anni di reclusione. Appena scarcerato, Giuseppe Ossola fu deferito al Tribunale speciale per la difesa dello Stato, che gli inflisse altri cinque anni di carcere. Scontata per intero la pena, il giovane operaio riacquistò la libertà nel 1933 e, per sottrarsi ad altre prevedibili persecuzioni, espatriò in Francia clandestinamente.
"ADDI 12 FEBBRAIO 1882
IL CAV. CESARE VERATTI
A GENEROSE CONDIZIONI TRASMETTEVA AL COMUNE
QUESTO PALAZZO GIÀ CORTE DI FRANCESCO III D'ESTE
SIGNORE DI VARESE
A PERENNE RICORDO
PER DELIBERAZIONE 22 MARZO 1882
DEL CONSIGLIO COMUNALE"
Abbiamo poi Felice Orrigoni, patriota, nato a Varese il 9 dicembre 1817, morto a Milano il 16 ottobre 1865. Giovanissimo si recò in America dandosi alla carriera marinaresca; colà si incontrò con Garibaldi col quale strinse intima amicizia. Nel 1843 fu a Milano per poco tempo; nel 1845, a Londra, conobbe Mazzini. Nel 1848 era di nuovo in America; il 15 aprile salpò con Garibaldi da Montevideo per l'Italia. Nel 1849 accompagnò a Roma Anita Garibaldi, e a Roma fece parte dello Stato maggiore del generale. Partecipò poi alla spedizione dei Mille; e fu capitano del Franklin, su cui Garibaldi passò dalla Sicilia in Calabria. Dopo l'unificazione, nel 1861, entrò nella marina sarda. Discendeva da antica e n0bile famiglia lombarda.
Un altro marmo ci ricorda Antonio Gorini: Varese, 23 novembre 1896 – Nervesa della Battaglia, 15 giugno 1918; All'età di undici anni si iscrive al Ginnasio inferiore presso il Liceo Ginnasio Alessandro Volta di Como, città ove si trasferisce per gli studi.
Ottenuto il diploma, si iscrive alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università di Pavia, che frequenta con profitto per il primo anno di corso. Scoppiata la guerra, fa subito domanda per seguire il Corso Allievi Ufficiali all'Accademia di Torino, da cui pochi mesi dopo esce sottotenente di Artiglieria.
Il 15 giugno, iniziato l'attacco da parte dell'esercito austro-ungarico, la sezione obici del tenente Gorini viene fatta oggetto di un nutrito fuoco di controbatteria, che causa ingenti danni ai pezzi. L'ufficiale, tuttavia, riesce a rimettere in funzione uno dei due obici, e ordina ai propri uomini di riprendere il fuoco.
Nel corso della giornata, però, gli attaccanti riescono a raggiungere le posizioni occupate dalla sezione del ten. Gorini, e sferrano un violento assalto all’arma bianca. Il giovane ufficiale, pur di non abbandonare i propri pezzi, resiste fino allo stremo, rimanendo ucciso nel combattimento.
Alla sua memoria viene concessa la Medaglia d’Argento al Valor Militare, poi commutata in Medaglia d’Oro al Valor Militare.
Abbiamo poi il marmo dedicato a Giuseppe "Claudio " Macchi, Nato a Varese il 9 marzo 1921, deceduto sul Monte Ceneri (Lugano) il 15 febbraio 1998. Attivo antifascista, durante il ventennio fu perseguitato dalle autorità del regime. Dopo l'armistizio Macchi, col nome di battaglia di "Claudio", accorse nelle file della Resistenza varesina. Nominato comandante della 121a Brigata Garibaldi "Walter Marcobi" e dei GAP di Varese, organizzò numerose azioni di guerriglia contro i nazifascisti, spesso partecipandovi personalmente.
Per finire abbiamo il marmo dedicato a Calogero Marrone (Favara, 12 maggio 1889 – Dachau, 15 febbraio 1945); fu Capo dell'Ufficio Anagrafe del Comune di Varese, durante il periodo fascista e l'occupazione nazista, rilasciò centinaia di documenti di identità falsi a ebrei e anti-fascisti permettendo loro di salvarsi dalle persecuzioni. Scoperto a causa di una segnalazione anonima venne imprigionato e morì nel campo di concentramento di Dachau. Per quanto ha fatto è stato insignito del titolo di "Giusto tra le Nazioni".
Per approfondire e conoscere a chi sono dedicate le altre lapide:
http://www.varesecultura.it/…/p…/LapidarioPalazzoEstense.pdf
Ossola

Vincenzo Dandolo

Calogero Marrone


                                Ritratto del Prevosto Benedetto Crespi



Capitano "Claudio" Macchi






lunedì 26 settembre 2016

LA "VARESE - CAMPO DEI FIORI" IL I° CIRCUITO AUTOMOBILISTICO DI VARESE


Dal 1931 al 1960, dieci edizioni velocistiche della Coppa dei Tre Laghi e Varese - Campo dei Fiori con piloti professionisti e Case ufficiali. 

Dal 1990 ad oggi il club Auto Moto Storiche Varese ripropone l'evento in chiave regolaristica.


In una terra, quale il Varesotto, che per oltre cent'anni ha espresso grandi opere nel settore della meccanica e nel design, tra motori e carrozzerie note in tutte il mondo, un grande evento è stato la sintesi di passione, lavoro, sport e successo popolare. E' la Coppa dei Tre Laghi e Varese - Campo dei Fiori, sorta ad opera di RACI Milano e Automobile Club Varese nel 1931 e di cui si sono disputate dieci edizioni velocistiche, cinque prima e cinque dopo la seconda guerra Mondiale. Un'icona di straordinaria bellezza e grandi imprese, fino al 1960.Quelle dieci edizioni velocistiche della Coppa dei Tre Laghi e Varese - Campo dei Fiori resteranno nella storia: le prime cinque esprimendo temerarietà, ardimento, grande spirito di sfida e sperimentazione. Le ultime cinque, nel dopoguerra, come dimostrazione di sportività estrema, grande cimento agonistico, brillante partecipazione di grandi piloti e raffinati gioielli di Case costruttrici.


Nel giugno 1935, il vincitore fu Gian Maria Cornaggia Medici su Alfa Romeo 8C 2300 che coprì i 10 km della cronoscalata dalla zona Ippodromo al Gran Hotel Campo dei Fiori in 8 minuti 22 secondi e 4 decimi. Dietro di lui altre Alfa: Tito Musso, Gianni Battaglia, Luigi Pages, specialisti delle salite nazionali. Tra i ritirati eccellenti Edoardo Bulgheroni ed Emilio Villoresi entrambi su Fiat 508, traditi dal motore. Nell’estate dello stesso anno, si disputò il 1° Circuito di Varese (21 luglio 1935): lungo 3,4 km. copriva per trenta giri ben 100 km nella zona di Biumo, via René Vanetti e Valle Olona. Folla oceanica e divertita da passaggi e spettacolo. La vittoria andò a Vittorio Belmondo su Alfa Romeo 8C 2600 della scuderia Alfa diretta da Enzo Ferrari.


Per saperne di più: http://varesecampodeifiori.it/


domenica 25 settembre 2016

L'ULTIMO SALUTO AUSTRIACO AL CAMPANILE DI SAN VITTORE (VA)


"30 MAGGIO 1859
SALUTO DI TIRANNIDE STRANIERA"
Così recita la lapide accanto a una palla di cannone confitta da 152 anni nel muro della chiesa.
Il 30 maggio 1859 infatti, il felmaresciallo Karl Urban, (comandante del contingente austriaco) prima di lasciare definitivamente Varese fece bombardare la città e la memoria di tale bombardamento è a tutt’oggi rappresentata: da 26 sbrecciature sul lato ovest del campanile del Bernascone e da tre palle di cannone infisse nel muro della basilica di S.Vittore.
Di fianco alla Basilica la Torre Campanaria, detta anche “del Bernascone”, che si alza maestosamente di fianco alla Basilica di San Vittore. Con i suoi quasi ottanta metri di altezza, e la base quadrata di metri 10,85 per lato, la Torre è un notevole monumento architettonico, testimonianza esemplare del tardo manierismo imposto nella diocesi milanese dai Borromei.
Il Iato esterno del Campanile verso il sud, conserva le tracce di molte palle di cannone: sono quelle fatte sparar dal generale austriaco Urban, nel 1859, per “punire” la Torre di aver suonato a festa i suoi bronzi, quando in Varese entravano, vittoriosi e liberatori, i Garibaldini. In quei giorni maggio in cui i Cacciatori delle Alpi e la popolazione di Varese si opposero alle truppe e ai cannoni austriaci del feldmaresciallo Karl von Urban.
Il popolo varesino si mosse compatto, basti pensare alle monache di clausura del Sacro Monte, le romite ambrosiane, che accolsero i varesini in fuga dai bombardamenti austriaci e cucinarono per loro». Il tenente maresciallo von Urban, rientrato in città dopo il primo scontro, chiese alla città il pagamento di una forte somma per riscattare il tradimento: i varesini – patrioti e non proprio prodighi – si rifiutarono e il buon austriaco – che già aveva soffocato nel sangue il ’48 ungherese – fece spararecon i cannoni sulla città. «Sparavano da Bosto sul centro, come avevano sparato su Biumo durante la battaglia.
Il ricordo di quel bombardamento ha lasciato tracce che si vedono ancor oggi: i buchi e le pietre scalfite del campanile di San Vittore e le palle di ferro ancora all’interno dei muri del tiburio (la cupola sopra la basilica). Qui c’è una lapide, riscoperta di recente, che ricorda il "saluto della tirannide straniera", gli austriaci che da grandi riformatori illuminati si erano trasformati in oppressori agli occhi degli abitanti della penisola.




mercoledì 7 settembre 2016

DISCESA NEGLI ABISSI - GROTTA DEL REMERON, COMERIO (VA)

A soli 10 minuti di auto da Varese, nella cornice del Parco Campo dei Fiori, è possibile addentrarsi nel cuore della montagna, scendendo lungo il percorso turistico illuminato e in sicurezza, sino alla profondità di circa 50 metri.
Manca solo Caronte con la sua barca e poi questa profondissima cavità nella montagna potrebbe apparire la scenografia perfetta di una discesa agli Inferi di dantesca memoria.
Siamo a Comerio, pochi chilometri sopra Varese, su un terrazzo panoramico che spazia sul suo lago e sul vicino laghetto di Monate, ed il monte è quello a noi notissimo del Campo dei Fiori.
Essendo costituita per lo più da rocce calcaree, la montagna è attraversata da gallerie naturali (al momento esplorate per 30km) e forata da tante grotte scavate dall’acqua. Del centinaio censite nel territorio del Parco, la Grotta del Remeron è con la Marelli e con quelle della Valganna, una delle più note.
Fu Luigi Bertarelli il primo a calarsi nella Grotta del Remeron. Correva l’anno 1900 e quel “Büs”, largo appena 50cm, benché noto ai contadini della zona, non era mai stato esplorato, forse per la scomodità, o forse per la supposta presenza di animali. Bertarelli, appassionato cultore delle bellezze italiane nonché fondatore del Touring Club Italiano, insieme ai sacerdoti di Comerio e di Barasso e all’amico Luigi Origoni, sfidò il buio e l’ignoto.
Un ponte naturale, poi un precipizio, una grande caverna con qualche stalattite millenaria e infine un lago (che prenderà il nome di Bertarelli) a quota -168 metri: questo lo “spettacolo indimenticabile”, come lo descrive lo scopritore, che apparve alla luce fioca delle lampade al magnesio. Un secondo lago, situato a -210 metri, fu intitolato nel 1951 a Felice Binda. Ma la grotta scendeva ancora: al momento le cavità esplorate raggiungono i 524m di profondità.
Nel 1913 iniziarono i lavori per rendere accessibile al pubblico questo “viaggio al centro della terra”. I primi turisti vi discesero nel 1914, sfruttando un impianto all’acetilene e una scala. E Comerio, anche grazie alla grotta, divenne un’ambita meta turistica. Nel frattempo proseguirono le esplorazioni in questo antro misterioso, originato dal carsismo che perfora il monte come un groviera. Una Madonna degli Abissi fu posizionata a venti metri di profondità. Negli anni Settanta altre sale furono scoperte dal CAI. Dopo una chiusura per ragioni manutentive, la Grotta del Remeron ha riaperto l’accesso nel 2004, grazie alla messa in sicurezza dei primi 40 metri da parte dell’Ente Parco Campo dei Fiori e alle visite guidate dell’Associazione Amici del Remeron.
per info sulle visite guidate: http://www.grottaremeron.net








lunedì 5 settembre 2016

LA FIERA BESTIA CHE MANGIAVA I BAMBINI - UNA STORIA DELLA MILANO SETTECENTESCA

La battaglia contro i lupi fu piuttosto dura e impensierì più volte le autorità laiche e religiose, raramente però nei secoli passati i lupi hanno portato la loro minaccia alle porte di Milano.
In questo ambiente, esterno ed estraneo alla città, i lupi erano numerosi e spadroneggiavano senza infastidire molto l’altro e più forte predatore: l’uomo. Soltanto nei periodi di carestia le due specie venivano allo scontro, ed era in genere il lupo che attaccava. I casi più drammatici, quelli del 1765-67, ebbero come protagonisti dei lupi idrofobi e i danni più rilevanti furono causati dalla malattia contratta dai morsi del lupo più che dai morsi stessi.
Nel 1792 le cose però andarono ancora diversamente. Dal 5 luglio al 2 settembre, un animale dall’aspetto pauroso e vagamente somigliante ad un lupo uccise quattro ragazzi e sei ragazze, tutti compresi tra i 6 e i 13 anni di età, ferì gravemente un’altra ragazza e assalì alcune persone adulte. Non era un periodo di carestia, né l’animale era idrofobo. Forse non era nemmeno un lupo.
Nella Biblioteca Braidense si trova un opuscolo di 67 pagine intitolato “Giornale circostanziato di quanto ha fatto la Bestia feroce nell’Alto Milanese dai primi di Luglio dell’anno 1792”.
L’anonimo autore, gazzettiere (giornalista) dell’epoca, racconta in tempo reale ciò che iniziò il 4 luglio del 1792, a Cusago.
Domenico Cattaneo, 13 anni, aveva portato la vacca al pascolo; giunta sera però non era tornato a casa.
Il padre allarmato cose a cercarlo insieme ad altri; nel bosco trovò la vacca che pascolava, le vesti del bimbo sporche di sangue e accanto il corpo del bimbo, quasi del tutto divorato.
"Livido n’ era, e sommamente gonfio il volto; ma mancante del naso: mangiato n’ era il petto, e quanto restava esposto alla voracità della Fiera di quel corpo supino: le braccia, le gambe, e gli intestini separati dal corpo erano rimasti come un rifiuto; ma il fegato era stato mangiato in parte: del vestito non vedeasi, che qualche resto di camiscia lorda di sangue"
Si incolparono i lupi e si pensò che il bambino, stanco, fosse stato assalito mentre dormiva. Pochi giorni dopo però, il 9 luglio, un gruppo di ragazzi di Limbiate viene assalito da “una brutta bestia, simile a un grosse cane, ma dall’orribile aspetto e di strana forma”. I ragazzi fuggirono, ma il più piccolo, Carlo Oca di 8 anni, venne raggiunto. Quando i contadini accorsero avvertiti dagli altri ragazzi lo trovarono sbranato dalla belva. La notizia si sparse rapidamente seminando il panico tra i contadini. Molti videro o credettero di vedere lo strano animale in località molto distanti tra loro. Qualcuno sparò contro qualcosa, ma senza esito. I bambini erano tenuti chiusi in casa. Le autorità governative, nella persona del conte di Kevenhüller, il 14 luglio pubblicarono un Avviso nel quale si diede notizia dell’uccisione dei due fanciulli da parte di “una feroce Bestia di colore cinericcio moscato quasi in nero, della grandezza di un grosso Cane”. Fu indetta quindi una “generale Caccia” con premio di 50 zecchini per chi avesse ucciso la “predetta feroce Bestia”.
La caccia generale, organizzata da varie città e paesi della zona ad ovest di Milano, non diede alcun esito, neppure quando il premio per “distruggere la Bestia feroce” salì a 150 zecchini. Nel frattempo giravano strane voci sul “Mostro girovago”, segnalato ormai da troppe parti.
Un intraprendente tipografo stampò un’incisione dove la Bestia feroce venne raffigurata con un bambino in bocca, quasi fosse un nuovo tipo di biscione visconteo. Altri sostennero che si trattava di una jena, ricordando che recentemente era passato per Milano un artista girovago con due jene in gabbia. La notizia trovò ancora più credito quando si venne a sapere che questo artista - un certo Bartolomeo Cappellini - era a Cremona dove esibiva una sola jena. Interrogato, diede varie versioni sulla sparizione dell’altro animale, fece le valigie e riparò velocemente nel Veneto.
Più aumentava il premio, più numerosi erano i cacciatori che si lanciavano nell’impresa. Alcuni “professionisti” giunsero anche dalla Vallassina e dalla Valsassina, ma senza alcun esito. Anzi, arrivò ben presto dalla Bestia una tremenda sfida. Il 1° agosto sorprese un gruppo di bambini vicino a Senago, raggiunse Antonia Maria di 8 anni e la trascinò nel bosco dove i contadini che la inseguivano la costrinsero a lasciare la preda ormai moribonda. Sul collo della bambina furono contate 45 ferite. Un testimone fornì questa descrizione dell’animale che suscitò molte perplessità nei funzionari pubblici e un grande terrore nei contadini: “lunghezza di due braccia circa, alta un braccio e mezzo come un vitello di ordinaria grandezza, con la testa simile a quella di un maiale, orecchie da cavallo, peli lunghi e folti sotto il mento come le capre ed il resto del corpo baio rossino sulla groppa e lungo di egual colore sotto la vita, con la coda lunga arricciata, zampe sottili ma larghe alle estremità con unghie lunghe, con un grosso petto che va restringendosi posteriormente.”
Ormai tutta la città e il contado erano terrorizzati. A Milano non si parlava d’altro. Il 7 agosto anche la Municipalità di Milano volle fare qualcosa e decise di offrire “con le dovute cautele” fucili in prestito a chi avesse voluto cacciare la Bestia. Aggiunse altri 50 zecchini al premio offerto dal Governo.
Il 13 settembre erano pronte 18 delle 30 trappole previste. Si stilò il rapporto sull’idoneità da parte dell’ispettore del Beccaria, che il giorno 17 dispose il pagamento ai sacerdoti delle spese sostenute. Il giorno dopo, in un campo detto la Crosazza della Pobbia fuori di Porta Vercellina, distante da Milano miglia 5 circa, un lupo cadde nella trappola. I contadini, sentendolo urlare, lo colpirono con sassi e pertiche e poi lo impiccarono con un cappio.
Iniziò un processo formale di riconoscimento che vide sfilare molti testimoni chiamati a osservare l’animale per capire se era veramente quello veduto da loro durante le drammatiche aggressioni: molti riconobbero nel lupo ucciso la Bestia feroce, alcuni invece affermarono che si trattava di un animale diverso. Il 4 ottobre venne stilata una Relazione che ammise l’identità del lupo con la Bestia feroce, ma con molte riserve, tanto che si proseguì comunque a realizzare le altre 13 fosse, che furono terminate il 30 ottobre. Soltanto il 24 dicembre Beccaria autorizzò l’esposizione al pubblico del lupo, debitamente imbalsamato, in una casa Agli scalini del Duomo (dov’è ora la Rinascente) dalle 9 alle 14 e dalle 17 alle 21. Il biglietto costava 10 soldi a persona e per i nobili ci si rimetteva alla loro discrezione. Nella primavera dell’anno seguente le fosse vennero smontate e rinchiuse. L’incubo era finito, ma solo il 18 gennaio 1794 la Municipalità riconobbe il premio di 50 zecchini ai due sacerdoti, che presero in seguito altri 12 zecchini vendendo il lupo al Museo di Storia Naturale dell’Università di Pavia.

info storiche: http://www.storiadimilano.it/



martedì 30 agosto 2016

L'ANTICO VILLAGGIO CELTICO DI CAVOJASCA - MESENZANA (VA)

Nel territorio di Mesenzana vi sono delle località dette Cavoi e Cavoiasca, oggi meta di piacevoli escursioni; un tempo erano abitate soprattutto da carbonai, e comunque il loro nome denota l’esistenza di un’antica attività estrattiva: anche il nome dell’abitato di Ferrera conferma questa ipotesi.
L’antico abitato della località di Cavoiasca sembra risalga al periodo celtico, sia per il toponimo desinente in -asca, che per la relativa vicinanza al masso altare presso le sorgenti del torrente Gesone (di cui approfondiremo l'argomento)....
In effetti non mancano in questa zona i minerali di ferro, e la ricchezza dei boschi permetteva di avere una riserva inesauribile di legna per alimentare gli altiforni dell’epoca. In un documento del 1570 si ricorda l’esistenza di “cavalanti” addetti al trasporto del carbone al lago, diretto a mercati lontani. Non si conosce il motivo per cui tale attività economica sia stata poi abbandonata.
Il paese fu colpito dalla peste nel 1630: fu costruito un lazzaretto fatto da capanne per accogliere gli ammalati. Rimane come ricordo della peste un affresco in una casa del paese, che ritrae un Cristo in croce circondato da appestati.
Il paese disabitato di Cavojasca ha una storia lunga che parte dal periodo celta-ligure: per la sua posizione fu abitato fin dal 1.300 aC. Nel 1500 fu rifugio di Francesco da Cavojasca, un brigante addirittura scomunicato per le sue malefatte.
Ci sono ruderi enormi: nel cuore del bosco sorgeva un borgo fortificato realizzato forse con le stesse pietre della torre di Mesenzana: archi a volta ancora in piedi, cisterne per l’acqua, fortilizi da cui osservare il nemico, terrazzamenti per la coltura dei cereali: montagna alle spalle,e fiume apoda distanza.
Questo luogo venne abitato fino al 1943 e fu teatro dell’omicidio della sua ultima abitante, Paola Cerini, uccisa dopo l’armistizio.
Nella frazione di Cavoiasca, oltre il ponte sul Gesone, il giorno dell’assalto nazista, una donna,Paola Cerini appunto, ignara di quello che stava accadendo, accende un fuoco per bruciare come consuetudine i ricci di castagne. Dal territorio di Brissago presidiato dai tedeschi, partono colpi di mitragliatrice che la colpiscono gravemente. Manda la figlia, una ragazzina, a cercare aiuto al Roncaccio di Brissago da dove han visto, sentito le grida disperate e accolto la bimba, ma nessuno era in grado di portare soccorso. Quella donna di Mesenzana muore dissanguata.
E' difficile trovare notizie di questo antico villaggio, anche in rete, chiunque sia a conoscenza di notizie storiche non esiti a contattarci!

Per info sul percorso: http://vareseguida.com/alpe-di-san-michele-porto-valtravaglia-masso-erratico-chiesa/








giovedì 25 agosto 2016

IL PAESE SOLITARIO - MONTEVIASCO (VA)

Sui monti del Varesotto nella Val Veddasca, sulle pendici del Lago Maggiore sopra Luino, distano 46 km da Varese, 18 da Luino. Il territorio comunale confina con la Svizzera, parliamo di Monteviasco, un piccolo paese in val Veddasca, in provincia di Varese, arroccato sulle pendici del Monte Pola, che è vissuto per anni in isolamento. Ancora oggi nessuna strada carrozzabile lo collega
al "mondo esterno", solo (a parte la funivia) una mulattiera, costituita da circa 1400 gradini, permette di raggiungere l'abitato a 930 metri di altezza, in poco meno di un'ora di cammino. La scalinata risale al 1813 e i lavori di costruzione sono terminati nel 1822. 
Il Borgo è stato sostentato per secoli soltanto da una magra pastorizia non sufficiente a sfamarne la popolazione, nel 1751 gli abitanti erano ben 286, oggi sono solo una dozzina. 
Monteviasco ha avuto l'onore di essere iscritta nel novero dei "Borghi più belli d'Italia", rigida selezione di merito, tra i numerosi, minuscoli villaggi d'arte, fascino e sapori della Penisola, nata sotto gli auspici della Consulta per il turismo dell'ANCI.
Abitato da tempi antichissimi, come dimostrano le incisioni rupestri databili all'età del bronzo, sorse probabilmente come insediamento di popolazioni ibero-liguri, qui attratte dall'abbondanza di boschi e di selvaggina. Successivamente vennero costruiti dei terrazzamenti di terreno (i campitt) e si passò all'allevamento di bestiame, sfruttando i campi a pascolo sopra l'abitato.
La genesi del paese risale ad una leggenda nata nel XVII secolo, periodo in cui la Lombardia era possedimento della Corona spagnola. Quattro uomini d’arme erano in fuga dopo aver disertato dall’esercito e cercarono rifugio nella Valle del Monte Polà, ove costruirono delle case di pietra. Dellea, Morandi, Ranzoni e Casina, questi i nomi dei soldati, erano però tristi di passare in maschile solitudine la loro latitanza, così decisero di rapire una giovinetta per ciascuno di loro. Il ratto delle fanciulle non poté non scatenare le ire della popolazione di Curiglia e i popolani si diressero ferini contro i soldati, desiderosi di incrociare le lame per liberare le ragazzette. Giunti alle case dei quattro però, si pararono loro le donzelle, ormai piacevolmente abituate al coatto
accasamento, tantoché la pace presto si insinuò nella popolazione di Curiglia e tutto si concluse con la più classica delle feste.
Alcune soste sono quasi d'obbligo: alla Cappelletta del Schuster che custodisce oggi un ritratto del pio Cardinale la cui visita diocesana suscitò un'insolita espressione di fede, poi al Sasùn, un pietrone orizzontale su cui è comodo riposare, detto anche a posa di poro vicc, appunto per la sua prerogativa alla portata di tutti, quindi alla Cappella del Redentore « che... scappa! » dove Gesù è sulla Croce con il capo reclinato verso valle come desioso di fuggire: così narra appunto una leggenda. Ma quando si giunge più su al Santuario della Madonna della Serta e si legge la scritta che dice: «Benvenuto o passegger / sosta e riposa / il monte rasserena e disacerba ogni segreta pena... »
Da Monteviasco partono numerosi sentieri che portano agli antichi alpeggi: verso l'Alpe Corte, il Rifugio del C.AI. all'Alpe Meriggetto, l'Alpe Agario, il Monte Tamaro ed il Monte Lema (Svizzera), mete che attraggono molti escursionisti. Da Monteviasco , inoltre, si può percorrere il cosiddetto "Sentiero Didattico", che attraversando l'Alpe "Polusa", le "Ganasce", l'Alpe Cortetto, l'Alpe Viasco, porta a Curiglia. Da questo percorso passa anche la camminata "Tra Boschi e Valli d'Or".