martedì 30 agosto 2016

L'ANTICO VILLAGGIO CELTICO DI CAVOJASCA - MESENZANA (VA)

Nel territorio di Mesenzana vi sono delle località dette Cavoi e Cavoiasca, oggi meta di piacevoli escursioni; un tempo erano abitate soprattutto da carbonai, e comunque il loro nome denota l’esistenza di un’antica attività estrattiva: anche il nome dell’abitato di Ferrera conferma questa ipotesi.
L’antico abitato della località di Cavoiasca sembra risalga al periodo celtico, sia per il toponimo desinente in -asca, che per la relativa vicinanza al masso altare presso le sorgenti del torrente Gesone (di cui approfondiremo l'argomento)....
In effetti non mancano in questa zona i minerali di ferro, e la ricchezza dei boschi permetteva di avere una riserva inesauribile di legna per alimentare gli altiforni dell’epoca. In un documento del 1570 si ricorda l’esistenza di “cavalanti” addetti al trasporto del carbone al lago, diretto a mercati lontani. Non si conosce il motivo per cui tale attività economica sia stata poi abbandonata.
Il paese fu colpito dalla peste nel 1630: fu costruito un lazzaretto fatto da capanne per accogliere gli ammalati. Rimane come ricordo della peste un affresco in una casa del paese, che ritrae un Cristo in croce circondato da appestati.
Il paese disabitato di Cavojasca ha una storia lunga che parte dal periodo celta-ligure: per la sua posizione fu abitato fin dal 1.300 aC. Nel 1500 fu rifugio di Francesco da Cavojasca, un brigante addirittura scomunicato per le sue malefatte.
Ci sono ruderi enormi: nel cuore del bosco sorgeva un borgo fortificato realizzato forse con le stesse pietre della torre di Mesenzana: archi a volta ancora in piedi, cisterne per l’acqua, fortilizi da cui osservare il nemico, terrazzamenti per la coltura dei cereali: montagna alle spalle,e fiume apoda distanza.
Questo luogo venne abitato fino al 1943 e fu teatro dell’omicidio della sua ultima abitante, Paola Cerini, uccisa dopo l’armistizio.
Nella frazione di Cavoiasca, oltre il ponte sul Gesone, il giorno dell’assalto nazista, una donna,Paola Cerini appunto, ignara di quello che stava accadendo, accende un fuoco per bruciare come consuetudine i ricci di castagne. Dal territorio di Brissago presidiato dai tedeschi, partono colpi di mitragliatrice che la colpiscono gravemente. Manda la figlia, una ragazzina, a cercare aiuto al Roncaccio di Brissago da dove han visto, sentito le grida disperate e accolto la bimba, ma nessuno era in grado di portare soccorso. Quella donna di Mesenzana muore dissanguata.
E' difficile trovare notizie di questo antico villaggio, anche in rete, chiunque sia a conoscenza di notizie storiche non esiti a contattarci!

Per info sul percorso: http://vareseguida.com/alpe-di-san-michele-porto-valtravaglia-masso-erratico-chiesa/








giovedì 25 agosto 2016

IL PAESE SOLITARIO - MONTEVIASCO (VA)

Sui monti del Varesotto nella Val Veddasca, sulle pendici del Lago Maggiore sopra Luino, distano 46 km da Varese, 18 da Luino. Il territorio comunale confina con la Svizzera, parliamo di Monteviasco, un piccolo paese in val Veddasca, in provincia di Varese, arroccato sulle pendici del Monte Pola, che è vissuto per anni in isolamento. Ancora oggi nessuna strada carrozzabile lo collega
al "mondo esterno", solo (a parte la funivia) una mulattiera, costituita da circa 1400 gradini, permette di raggiungere l'abitato a 930 metri di altezza, in poco meno di un'ora di cammino. La scalinata risale al 1813 e i lavori di costruzione sono terminati nel 1822. 
Il Borgo è stato sostentato per secoli soltanto da una magra pastorizia non sufficiente a sfamarne la popolazione, nel 1751 gli abitanti erano ben 286, oggi sono solo una dozzina. 
Monteviasco ha avuto l'onore di essere iscritta nel novero dei "Borghi più belli d'Italia", rigida selezione di merito, tra i numerosi, minuscoli villaggi d'arte, fascino e sapori della Penisola, nata sotto gli auspici della Consulta per il turismo dell'ANCI.
Abitato da tempi antichissimi, come dimostrano le incisioni rupestri databili all'età del bronzo, sorse probabilmente come insediamento di popolazioni ibero-liguri, qui attratte dall'abbondanza di boschi e di selvaggina. Successivamente vennero costruiti dei terrazzamenti di terreno (i campitt) e si passò all'allevamento di bestiame, sfruttando i campi a pascolo sopra l'abitato.
La genesi del paese risale ad una leggenda nata nel XVII secolo, periodo in cui la Lombardia era possedimento della Corona spagnola. Quattro uomini d’arme erano in fuga dopo aver disertato dall’esercito e cercarono rifugio nella Valle del Monte Polà, ove costruirono delle case di pietra. Dellea, Morandi, Ranzoni e Casina, questi i nomi dei soldati, erano però tristi di passare in maschile solitudine la loro latitanza, così decisero di rapire una giovinetta per ciascuno di loro. Il ratto delle fanciulle non poté non scatenare le ire della popolazione di Curiglia e i popolani si diressero ferini contro i soldati, desiderosi di incrociare le lame per liberare le ragazzette. Giunti alle case dei quattro però, si pararono loro le donzelle, ormai piacevolmente abituate al coatto
accasamento, tantoché la pace presto si insinuò nella popolazione di Curiglia e tutto si concluse con la più classica delle feste.
Alcune soste sono quasi d'obbligo: alla Cappelletta del Schuster che custodisce oggi un ritratto del pio Cardinale la cui visita diocesana suscitò un'insolita espressione di fede, poi al Sasùn, un pietrone orizzontale su cui è comodo riposare, detto anche a posa di poro vicc, appunto per la sua prerogativa alla portata di tutti, quindi alla Cappella del Redentore « che... scappa! » dove Gesù è sulla Croce con il capo reclinato verso valle come desioso di fuggire: così narra appunto una leggenda. Ma quando si giunge più su al Santuario della Madonna della Serta e si legge la scritta che dice: «Benvenuto o passegger / sosta e riposa / il monte rasserena e disacerba ogni segreta pena... »
Da Monteviasco partono numerosi sentieri che portano agli antichi alpeggi: verso l'Alpe Corte, il Rifugio del C.AI. all'Alpe Meriggetto, l'Alpe Agario, il Monte Tamaro ed il Monte Lema (Svizzera), mete che attraggono molti escursionisti. Da Monteviasco , inoltre, si può percorrere il cosiddetto "Sentiero Didattico", che attraversando l'Alpe "Polusa", le "Ganasce", l'Alpe Cortetto, l'Alpe Viasco, porta a Curiglia. Da questo percorso passa anche la camminata "Tra Boschi e Valli d'Or".















lunedì 22 agosto 2016

IL CONVITTO ABBANDONATO DI ORIGGIO (VA)

Nel paese di Origgio fu costruito un convitto per le operaie, impiegate presso la vicina fabbrica. La Ma.Li.Ca, ovvero Manifattura Lombarda Lino e Canapa, fu creata dalla famiglia Bassetti nel 1925. L'attività iniziò nel 1926, (secondo altra fonte nel 1922) poi lo stabilimento fu ampliato nel 1931. A quel tempo vi trovarono occupazione 550 persone.
La famiglia Bassetti era impegnata nella lavorazione del lino dal 1885, quando Giovanni Bassetti Senior rilevò una fabbrica per la tessitura a mano, a Rescaldina, vicino a Legnano. Furono poi i figli a sviluppare l'attività, e la moglie Rosa Piantanida, con l'amministratore Alessandro Ottolini, il suo successivo marito. Negli anni Sessanta Bassetti era la società più importante lino canapiera in Italia. Rilevarono peraltro anche lo storico birrificio Poretti nel 1938.
Come in molte altre famiglie industriali l'impronta assistenziale si evidenziò in opere a favore dei dipendenti, oltre che per la comunità. Un altro convitto fu costruito presso un'altra manifattura del gruppo, a Rescaldina.
Le operaie vivevano presso questo istituto gestito da suore. Un passaggio sotterraneo, trovato murato dopo alcune decine di metri, permetteva di accedere alla manifattura, ormai non più esistente da tempo, oltre la strada che divideva i due siti. Su quell'area industriale oggi è presente una società di autotrasporti.
Ormai ridotto in pessime condizioni, nel 2011 il convitto è stato abbattuto.
Non gli si attribuiva particolare pregio, essendo un servizio a supporto dell'attività produttiva locale. La data di costruzione non è stata rilevata. Molto scarse le notizie in Internet.

Chiunque abbia notizie più approfondite non esiti a contattarci......grazie!







sabato 13 agosto 2016

LA POLVERIERA DI TAINO (VA)

Nel 1907 la società milanese dell’ing. Ottorino Magnani acquistò un appezzamento di terreno di privati in località Campaccio con l’intenzione di costruirvi una fabbrica per la produzione della polvere esplosiva “Albite” che dovette cedere per mancanza di fondi alla società francese DAVEY BICKFORD & SMITH. I primi due depositi per gli esplosivi furono costruiti nel 1913 al Campaccio e alla cascina Tognoli nei pressi del lago e, l’anno successivo, iniziò la produzione di micce e capsule detonanti. Inizialmente furono impiegati 50 donne e 13 uomini. Nel 1914 ebbe così inizio la vita di questa azienda che si è protratta fino al 1972 eper la quale hanno lavorato diverse generazioni di tainesi. La grande espansione della Polveriera si verificò negli anni compresi tra la prima e la seconda guerra mondiale (1915-1945). Lo stabilimento, pressato dalle esigenze belliche, ampliò man mano gli iniziali modesti impianti acquistando altri terreni ed arrivò ad occupare fino 1500 addetti. I tainesi impiegati arrivarono ad essere oltre 300.
Dopo l’8 settembre 1943 la Polveriera fu presidiata da un comando militare tedesco agli ordini del maggiore Rose. Vani furono i tentativi degli aerei alleati di colpire la fabbrica, molto ben protetta dai terrapieni e nascosta dagli alberi. Solo nel gennaio 1945 tre caccia bombardieri colpirono, facendoli esplodere, i depositi in località Bruschera, senza causare vittime. Nel dopoguerra la Polveriera continuò la propria attività, producendo tra l’altro migliaia di chilometri di micce detonanti utilizzate per il traforo del Monte Bianco. Nel 1952 la Polveriera fu acquisita dalla società MONTECATINI. Nel 1969 a seguito della fusione della Montecatini con la società Edison la Polveriera di Taino divenne parte del gruppo MONTEDISON e da quel momento iniziarono profondi cambiamenti. La fabbrica non era più remunerativa e, dopo qualche vano tentativo di trasformarne la produzione, la proprietà ne decise lo smantellamento. A mezzanotte del 25 novembre 1972 la Polveriera fu chiusa definitivamente. Finì così l’attività produttiva del più grande stabilimento insediatosi sul territorio di Taino dopo circa 60 anni di attività costati ai lavoratori 39 morti ed un numero elevato di feriti e mutilati.
Sabato 27 luglio 1935 alle prime ore del turno pomeridiano, esattamente alle 14,35 si verificò uno scoppio nel capannone adibito all’imballaggio dei materiali, lungo circa 15 metri ed alto 4, ubicato in posizione eccentrica rispetto alla restante parte dello stabilimento. La violenza dell’esplosione causò la rovina dell’intero fabbricato.
Nel reparto imballaggio lavoravano maestranze femminili coadiuvate da alcuni uomini per i lavori più pesanti.Immediatamente dopo l’esplosione, chiaramente avvertita anche nei paesi vicini, la gente accorse numerosa. Giunsero subito anche i soldati del 27° Artiglieria della
Divisione Legnano attestati sulle alture circostanti per esercitazioni campali, i carabinieri e i militi dei paesi limitrofi. Le operazioni di soccorso durarono tutta la notte nella vana speranza di trovare
qualche superstite. La realtà si presentò più tragica del previsto. Alle prime luci dell’alba del giorno successivo, una volta terminato lo sgombro delle macerie, si contarono trentacinque vittime, tre uomini e trentadue donne, identificabili a fatica.
E adesso, dopo 40 anni di abbandono, ciò che rimane sono solo edifici mezzi diroccati e capannoni sventrati. Resti che adesso stanno crollando a pezzi, è come se l’ex polveriera stesse per essere inglobata dal bosco che per anni l’ha protetta dalle incursioni aree.
Fonti storiche: http://www.taino-va.it/










mercoledì 10 agosto 2016

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L'UFO CADUTO A VERGIATE E CENSURATO DA MUSSOLINI - 1933

In pochi sanno che in Italia, nel 1933, nell'area tra Sesto Calende e Vergiate, capitò un fatto straordinario, che può essere a ragione veduta considerato il primo vero reale caso ufologico del mondo in assoluto, che mise in subbuglio la comunità locale ed anche la stampa nazionale, a tal punto da costringere il Regime Fascista ad intervenire direttamente per mettere sotto silenzio una vicenda così scomoda ed eclatante, istituendo addirittura un Gabinetto, nell’ambito del neonato CNR, dedicato appositamente allo studio specifico del caso, la cui importanza fu tale che di questo ufficio fecero parte alcuni dei più importanti luminari dell’epoca, tra cui Marconi, e alcuni dei gerarchi fascisti di maggior peso, come Italo Balbo e Galeazzo Ciano.
Nel giugno del 1933 qualcosa di strano accadde. Qualcosa sfrecciò sui cieli di Milano e infine precipitò o atterrò tra Vergiate e Sesto. I fascisti parlarono di velivolo non convenzionale e immaginarono subito l'arma segreta di una potenza straniera.
Nei documenti inviati al CUN sono presenti dei disegni fatti a mano, che descrivono un velivolo cilindrico, con una strozzatura poco prima del fondo, sulla cui fiancata erano presenti degli oblò da cui uscivano alternatamente delle luci bianche e rosse. Lo stesso giorno, alle 17.07, un dispaccio proveniente dalla Agenzia Stefani, di carattere “riservatissimo” informava che:
«D’ordine personale del Duce disponesi immediato – dicesi immediato – arresto diffusione notiza relativa at aeromobile natura et provenienza sconosciute di cui at dispaccio Stefani data odiernna hore 7.30 (…) Dir Gen Affari Generali. Fine stop».
“La Cronaca Prealpina” del 20/06/1933 e su altri periodici nazionali, uscirono alcuni articoli che parlavano di UFO e marziani, argomenti quasi del tutto inediti al grande pubblico dell’epoca. Che cosa scatenò le fantasie popolari? Ma soprattutto: perché il Regime, nelle sue più alte sfere, era così preoccupato? Nei giorni seguenti, infatti, ebbero luogo imprevisti spostamenti di dirigenti industriali dalle locali industrie aeronautiche, di questori, dirigenti politici e addirittura del Federale Brusa che fu rimosso dall’incarico e sostituito da un altro fedelissimo del regime. Intervenne la OVRA per assicurarsi che i testimoni diretti di questo avvenimento tacessero o venissero messi nelle condizioni di non divulgare alcuna notizia. Scomparvero numerosi documenti ed iniziò un’opera di occultamento e depistaggio, coordinata dall’Agenzia Stefani, per smontare il caso. Furono stabilite condanne e pene severissime per chiunque avesse parlato e, infine, per tenere sotto controllo ogni fuga di notizie, su proposta pare addirittura di Giovanni Gentile fu creato un apposito ufficio nell’ambito del CNR, il Gabinetto RS/33, cui fu affidato lo studio e l’analisi del caso.
Un altro telegramma dell’epoca, sempre partito dall’Agenzia Stefani chiarisce inequivocabilmente la gravità del fatto:
«Caro Alfredo,
del caso Moretti non si può parlare che a quattr’occhi data la delicatezza e la particolarità della vicenda. Il Gabinetto RS/33 è ormai un ente autonomo e nessuno può scriverne senza le indicazioni opportune. Per quanto ne so e posso confidarti, l’ente è formato da soli scienziati italiani, ma la presenza di elementi germanici è quasi certa, soprattutto per le concessioni dello stesso Duce che aspira alla reciprocità. Se mi chiedi consiglio eccolo: non dire a nessuno – ripeto nessuno e ciò comprende anche i parenti più stretti – quanto hai visto. (…) Posso assicurarti che un caso analogo precedente si è concluso con il ricovero in manicomio. Dunque, occuparti di certe cose può essere pericoloso. Distruggi questo foglio dopo la lettura».
I resti e gli occupanti di quel velivolo, furono trasferiti nei capannoni della SIAI-Marchetti a S.Anna di Vergiate.
.Il 17 marzo del ‘43 un capannone dello stabilimento di Vergiate viene dato alle fiamme. Qualche giorno dopo un commando (partigiani?) tenta di distruggere alcuni aerei pronti al decollo.
Una curiosità e un interrogativo. Lo stabilimento di Sesto Calende è risparmiato dai bombardamenti alleati. Quello di Vergiate, distante solo pochi chilometri, viene colpito ben nove volte. C’era qualcosa in uno degli hangar di Sesto Calende? Qualcosa che doveva essere preservato? Se c’era, è sparito.