venerdì 29 aprile 2016

VIA GAGGIO ED EX AEROPORTO CAMPO DELLA PROMESSA

Via Gaggio è una strada pedonale di 3050 metri che collega il comune di Lonate Pozzolo (Varese) con la frazione di Tornavento e il Ticino. Integrata nell'omonimo Parco, attraversa la brughiera che si estende a sud dell'aeroporto di Malpensa.
Percorrendo la via s'incontrano vari reperti storici esposti.
Le prime descrizioni di Via Gaggio e i primi interventi sulla strada sono ottocenteschi: nel 1832 l'ingegner Mariani di Cuggiono viene incaricato dal Comune di Lonate Pozzolo della manutenzione della strada, stabilendo una larghezza di 6 metri, una forma “a schiena di mulo” e il mantenimento “a scarpa” dei fossi laterali. Ma la costruzione del canale Villoresi (1884), del ponte sul Ticino (1889) e della nuova provinciale Busto Arsizio-Oleggio (1898) unite all'inizio delle esercitazioni militari nel poligono di tiro per artiglieria (1897), portarono al progressivo declino della strada comunale dei Gaggi.
A partire dal 1916 iniziarono le espropriazioni per la costruzione dei campi d'aviazione fra Somma Lombardo e Castano Primo, fra cui il Campo della Promessa visitato da Gabriele D'Annunzio il 9 marzo 1926. Tra il 1943 e il 1945 vennero costruiti bunker, paraschegge, piste in cemento e ghiaia – per una lunghezza complessiva di 25 km – atte a collegare il Campo della Promessa a Malpensa, trincee per la difesa dell'aeroporto. Tuttora si possono vedere i resti di una cucina da campo tedesca con lavatoio, una colonnina in stile littorio che marcava l'area di svago dell'aeroporto, frammenti di bombe alleate. Alla fine della seconda guerra mondiale l'intera aerea divenne sede di esercitazioni dell'esercito italiano. Dal 1956, anno in cui strada e brughiera divennero di proprietà dell'esercito, ne fu vietato il transito ai civili.
È grazie all'opera di Ambrogio Milani, privato cittadino di Lonate Pozzolo, se a partire dal 1993 Via Gaggio è di nuovo accessibile ai civili come percorso ciclopedonale.
Il Campo della Promessa venne costruito nel 1916 e venne ad affiancarsi alle preesistenti presenze aeronautiche della "grande brughiera": la scuola di pilotaggio della Malpensa e le costruzioni aeronautiche Caproni di Vizzola Ticino, oggi di proprietà dell'MV Agusta. Nel 1926 Gabriele d'Annunzio lo battezzò con questo nome. Ecco il testo della lettera:

« Per tutte le mani che si levarono al sole inermi eppur lucenti come armi forbite, io, capo degli stormi di Cattaro, di Pola, di Vienna, comandante di Fiume e di Zara, do oggi al campo di Lonate il nome di Campo della Promessa. Lonate, 11 marzo 1926 »
(Gabriele d'Annunzio)
Nei giorni che seguirono l'armistizio  dell'8 settembre 1943, vari reparti della Luftwaffe occuparono l'aeroporto, impadronendosi degli aerei abbandonati negli hangar. Poco dopo però vi ritornarono numerosi piloti italiani e nell'aeroporto si insediò anche un comando autonomo dell'aeronautica della Repubblica Sociale Italiana.
Nell'aprile 1945, all'atto della resa, i tedeschi fecero brillare le mine collocate nelle piste in cemento, per renderle inagibili; solo quella in direzione dell'aeroporto della Malpensa rimase intatta, e nel 1948 venne utilizzata per aprire il nuovo "Aeroporto di Busto Arsizio".

Una gita assolutamente consigliata per tutte quelle persone interessate alla storia più recente, il percorso è di circa 8 chilometri, tutto in pianura ed adatto a tutti.
parte della pista di raccordo



alberi "strani" lungo Via Gaggio

servizi igienici nazisti

particolare dei bagni

pista di raccordo

altra parte della seconda pista

vecchia strada per Ferno

bosco delle trincee

bosco delle trincee

trincea con postazione mitragliatrice

particolare delle trincee











copia della dichiarazione autografa di D'annunzio

area fortificata per il ricovero degli aerei


visuale sul piazzale dall'interno della fortificazione

piazzale dell'area fortificata











per chi non vuole andare a piedi......


veduta di Via Gaggio


martedì 26 aprile 2016

UN VARESOTTO IN CINA

Cita una lapide nel cimitero di Gavirate: “Bravo Giuseppe, figlio e soldato esemplare, morto in Cina il 17 novembre 1900 per l’Italica Civiltà. I genitori implorano requiem”.
Che dire di un giovane contadino, nato il 24 ottobre 1878 nella casa dei nonni lungo l’allora strada dei monti (ora via Bravo
Livio, un suo nipote morto nel 1936 nella guerra d’Etiopia)'
Lui non aveva niente a che fare con le violenze dei Boxers. Erano
lontani anni luce dalla sua realtà, vissuta negli insegnamenti religiosi dello zio, Cesare Moja, curato di Gemonio.
L’estrazione a sorte decretò che facesse parte del contingente
di 20mila uomini che l’Italia aveva deciso di inviare, assieme agli altri Stati europei.
La partenza per l’estremo Oriente fuimmediata.
"Carissimi genitori, il viaggio che abbiamo da fare è molto lungo: anche andare per mare sono sempre 45 giorni e, se il mare è cattivo, possono essere due mesi e anche di più."
Arrivato in Cina il 1° settembre, raggiunse la città di Tientsin, dovesi trovavano tutte le truppe europee. Diversi furono i
combattimenti a cui dovette partecipare.
"Speriamo di tornare– scrisse il 27 settembre ai genitori – La vita militare non è bella in tempo di pace, ma in tempo di guerra
è peggio: mi fanno patire la fame e sete, e affrontare molte
fatiche e dormire per terra"
il 23 ottobre così raccontavala sua vita in Cina:
"Il giorno 28 settembre siamo partiti per il combattimento di Scianai Tua (non è chiaro a che luogosi riferisse, nda) e quindi mi
hanno imbarcato su una nave da guerra italiana. Quando
le truppe cinesi ci hanno visto arrivare, sono fuggite. In questa città tutte le potenze hanno lasciato un po’ di uomini per il servizioe l’Italia 80 bersaglieri tra cui io. Qui sista molto bene, però fa molto freddo. Ha già cominciato a nevicare."
In una lettera ad un’altra zia, sempre il 23 ottobre aggiunse:
"Auguro buone feste di Natale".
Un presentimento? Il 25 novembre alle ore 9,15 il telegramma inviato alla famiglia dal Ministero della Guerra e firmato dal
comandante del 9° Bersaglieri: "Vi comunico morte Caporale Bravo Giuseppe, appartenente alle truppe Estremo Oriente.
Prego dare partecipazione alla famiglia nel
modo migliore".

lunedì 25 aprile 2016

LA SUORA PARTIGIANA DI CUVIO (VA)

Qui, nei nostri paesi, non si sa nulla di lei ma, nella Val d’Orba e nel basso alessandrino, eraconosciuta come la suora partigiana, molto amata e stimata; si tratta di suor Maria Giacomina
delle Immacolatine di Genova, al secolo Annunciata Peruggia di Cuvio che, durante la resistenza, rischiò la vita per dare assistenza a soldati e partigiani e le sue gesta di grande coraggio sono apparse su quotidiani e libri. Annunciata,nata nel 1899,era una bella ragazza dal carattere estroso e deciso che non lasciava presagire una conversione,aveva anche uno spasimante di Cabiaglio e quando, una mattina, all’improvviso disse che voleva
diventare suora nell’ordine delle Immacolatine,rimasero tutti sorpresi. Nel ‘23, prese i voti nella cattedrale di Genova, assunse il nome di suor Maria Giacomina (per tutti solo Giacomina).
L’ordine la farà studiare da maestra e poi la manderà all’asilo di Predosa, un paesone contadino di colline e campagne fra Alessandria e Ovada dove sarebbe quasi sempre rimasta.
Durante la resistenza, nella cantina dell’asilo di Predosa, nascondeva partigiani, soldati sbandati, inglesi, americani e anche qualche tedesco disertore. Ce n’erano sempre una decina e la sera faceva dire loro il rosario; lei pregava in italiano e loro rispondevano nella loro lingua. Molte persone del paese l’aiutavano portandogli panni e vestiti borghesi per i militari. Stavano lì uno o due giorni e poi se ne andavano travestiti da contadini, con in spalla un rastrello o una zappa e un cappellaccio in testa. Non li faceva uscire di notte ma alla luce del sole perché riteneva dessero meno nell’occhio. Li salutava con un: ‘che Dio ve la dia buona’. Se si son salvati tutti non lo sapeva, dopo la guerra però qualcuno gli aveva scritto ringraziandola.
Continuò un bel po’ la storia finchè, un giorno, fu avvertita di far fuggire i rifugiati perchè la sera ci sarebbe stata una retata dei tedeschi. Arivarono alle dieci di sera e suonarono la campanella, erano quattro o cinque e volevano lei. Un ufficiale le disse: ‘Tu dovrai essere uccisa perché sei nemica dei tedeschi, sappiamo che nascondi i partigiani e adesso facciamo una perquisizione’. Mentre le altre due suore presenti scomparvero nelle loro stanze spaventate, lei li affrontò decisa, senza paura, negando ogni accusa, accompagnandoli nell’ispezione. Frugarono in tutte le stanze e in ogni nascondiglio, anche negli armadi, ma non trovarono nessuno. Dovevano però essere stati ben informati (e lei sapeva anche da chi) perché, pur senza prove e con la gente del paese sopraggiunta, che assicurava di non aver mai visto partigiani, fu portata a Genova, probabilmente al comando tedesco, dove la tennero isolata in una stanza. Non la trattarono male, gli lasciarono il breviaro ma le confermarono che l’avrebbero fucilata, anche se lei negava ogni accusa.
Avvisata dai tedeschi, arrivò la madre generale Innocenza Vassallo, alla quale confessò di avere aiutato partigiani e soldati sbandati e di non aver timore di morire perchè lei aveva fatto solo del bene, voleva dire che era giunta la sua ora per il paradiso. La superiora, sorpresa e sbalordita, garantì per lei. ‘Non è vero, vi sbaglliate – diceva ai tedeschi - interrogate la gente del paese.’ ‘Eppure qualcuno del paese ci ha assicurato che aiuta i partigiani’ era la risposta. Dopo due o tre giorni di prigionia l’avvisarono che l’indomani alle 11 l’avrebbero fucilata in piazza De Ferrari, il centro della città, dove quasi tutti i giorni veniva giustiziato qualche ribelle. Non si perse d’animo e chiese di fare una telefonata perché ‘non si può negare l’ultima grazia a un condannato’. Chi abbia contattato il politico, quali autorità abbia smosso, non lo so, fatto stà che dopo mezzora arrivò l’ordine di liberarla. Venne affidata alla madre generale intenzionata a tenerla in convento, ma lei, cocciuta, volle ritornare a Predosa dove arrivò la sera stessa. Le raccomandazioni della superiora, i consigli della gente e lo scampato pericolo la convinsero a stare accorta. Eppoi poco dopo la guerra finì.
Attorno ai sessant’anni si ammalò e la portarono alla casa madre a Genova, a S. Martino dove nel ’63 morì.
La memoria di Suor Giacomina era ancora ben viva tanto che in una cappella vicino all’asilo c’era la sua foto con la scritta: ‘Suor Maria Giacomina, suora partigiana’. Era così stimata che gli dedicarono il nuovo asilo.”
Suor Giacomina aveva tenuto un diario, pubblicato nell’agosto ‘45 su un imprecisato quotidiano di Genova (si possiede solo una parte dell’articolo, uno spezzone senza testata ne data) dal quale veniamo a sapere che la sua attività di patriota ebbe inizio qualche giorno dopo l’8 settembre ’43, quando i paesani portarono quattro soldati sbandati all’asilo ai quali diede cibo e assistenza. Da quel momento fu un continuo confluire di militari di ogni nazione, assistiti con l’aiuto della popolazione. La situazione si fece difficile quando a Predosa s’insediò un presidio tedesco che indusse la suora a muoversi con maggior cautela per evitare rappresaglie. Ciò non la salvò dalla denuncia anonima di ‘sentimenti anti germanici’ che sfociò in una prima infruttuosa perquisizione, anche per il diplomatico intervento della figlia del Podestà che fungeva da interprete.
L’incidente non spaventò Suor Giacomina, che continuò la sua opera umanitaria. Nel marzo ’44 favorì anchè la formazione della sezione femminile di partigiane di ‘Nuvoletta’


lunedì 18 aprile 2016

UN VARESOTTO SOPRAVVISSUTO AL TITANIC

Emilio Ilario Giuseppe Portaluppi nasce ad Arcisate il 15 ottobre 1881 e muore sempre ad Arcisate il 18 giugno 1974.
Dopo i primi anni passati a sbozzare e lavorare la pietra, segue la strada già avviata da moltissimi emigranti della Valceresio e partì per Barre, Vermont, la capitale mondiale del granito, nel 1903. Il suo talento tecnico e artistico lo portò a Milford, New Hampshire. Viene descritto come scultore più che scalpellino.
Nell'autunno del 1911 Portaluppi fece un viaggio in Italia per rivedere la famiglia. Nella primavera del 1912 decise di ritornare in America e acquistò un biglietto di seconda classe sul Titanic. Si imbarcò a Cherbourg in Francia e il 14 aprile 1912 fu uno dei sopravvissuti alla tragedia. Abbiamo anche il numero del suo biglietto : C.A. 34644.
IL 14 aprile 1912 si era coricato presto. Fu destato da un tremendo scossone che altro non era che la conseguenza dello scontro con l’iceberg e forse l’esplosione delle caldaie. Pensò anche di esser già attraccato al molo di New York. Salì in coperta dove non notò niente di strano, ma ebbe la sensazione che doveva essere successo qualcosa. Rientrò in cabina, si rivestì e ritornò in coperta proprio mentre calavano una scialuppa di salvamento. Con l'aiuto del giubbotto di salvataggio e dall'essersi tenuto sopra ad un pezzo di ghiaccio riuscì a mantenersi a galla. Aveva nuotato verso una delle scialuppe, sulla quale il marinaio che la governava aveva tentato di impedirgli di salire menando colpi di remo. Era stata una donna a fermare il braccio del marinaio, e grazie al suo intervento il Portaluppi si era salvato. C'erano altre 35 persone nella scialuppa numero 14 quando fu issato a bordo.
Portaluppi asserì di essere caduto accidentalmente in mare e di avere nuotato per almeno due ore prima di essere ripescato da una scialuppa, ma forse potrebbe essersi imbarcato sulla scialuppa stessa mentre veniva calata in acqua. Ricordi discordi e anche immagini giornalistiche inventate o giù di lì. Portaluppi fu salvato dal Carpathia. Questa nave giunse sul posto due ore dopo l’affondamento e recuperò i naufraghi e partì per New York, dove giunse il 18 aprile con 705 superstiti.
I giornali locali diedero ampio spazio alla sua vicenda e posero l’accento sul trauma emotivo creato dall’affondamento della nave, dalla tragedia causata dalle centinaia di persone che aveva visto galleggiare sull’acqua o perdere la vita e dalla prolungata permanenza in mare senza precise notizie sul futuro. In realtà la paura dell’acqua non gli impedì nel 1914 di riprendere la via del mare per tornare in Italia dove prese parte alla prima guerra mondiale nell’esercito italiano.