lunedì 25 aprile 2016

LA SUORA PARTIGIANA DI CUVIO (VA)

Qui, nei nostri paesi, non si sa nulla di lei ma, nella Val d’Orba e nel basso alessandrino, eraconosciuta come la suora partigiana, molto amata e stimata; si tratta di suor Maria Giacomina
delle Immacolatine di Genova, al secolo Annunciata Peruggia di Cuvio che, durante la resistenza, rischiò la vita per dare assistenza a soldati e partigiani e le sue gesta di grande coraggio sono apparse su quotidiani e libri. Annunciata,nata nel 1899,era una bella ragazza dal carattere estroso e deciso che non lasciava presagire una conversione,aveva anche uno spasimante di Cabiaglio e quando, una mattina, all’improvviso disse che voleva
diventare suora nell’ordine delle Immacolatine,rimasero tutti sorpresi. Nel ‘23, prese i voti nella cattedrale di Genova, assunse il nome di suor Maria Giacomina (per tutti solo Giacomina).
L’ordine la farà studiare da maestra e poi la manderà all’asilo di Predosa, un paesone contadino di colline e campagne fra Alessandria e Ovada dove sarebbe quasi sempre rimasta.
Durante la resistenza, nella cantina dell’asilo di Predosa, nascondeva partigiani, soldati sbandati, inglesi, americani e anche qualche tedesco disertore. Ce n’erano sempre una decina e la sera faceva dire loro il rosario; lei pregava in italiano e loro rispondevano nella loro lingua. Molte persone del paese l’aiutavano portandogli panni e vestiti borghesi per i militari. Stavano lì uno o due giorni e poi se ne andavano travestiti da contadini, con in spalla un rastrello o una zappa e un cappellaccio in testa. Non li faceva uscire di notte ma alla luce del sole perché riteneva dessero meno nell’occhio. Li salutava con un: ‘che Dio ve la dia buona’. Se si son salvati tutti non lo sapeva, dopo la guerra però qualcuno gli aveva scritto ringraziandola.
Continuò un bel po’ la storia finchè, un giorno, fu avvertita di far fuggire i rifugiati perchè la sera ci sarebbe stata una retata dei tedeschi. Arivarono alle dieci di sera e suonarono la campanella, erano quattro o cinque e volevano lei. Un ufficiale le disse: ‘Tu dovrai essere uccisa perché sei nemica dei tedeschi, sappiamo che nascondi i partigiani e adesso facciamo una perquisizione’. Mentre le altre due suore presenti scomparvero nelle loro stanze spaventate, lei li affrontò decisa, senza paura, negando ogni accusa, accompagnandoli nell’ispezione. Frugarono in tutte le stanze e in ogni nascondiglio, anche negli armadi, ma non trovarono nessuno. Dovevano però essere stati ben informati (e lei sapeva anche da chi) perché, pur senza prove e con la gente del paese sopraggiunta, che assicurava di non aver mai visto partigiani, fu portata a Genova, probabilmente al comando tedesco, dove la tennero isolata in una stanza. Non la trattarono male, gli lasciarono il breviaro ma le confermarono che l’avrebbero fucilata, anche se lei negava ogni accusa.
Avvisata dai tedeschi, arrivò la madre generale Innocenza Vassallo, alla quale confessò di avere aiutato partigiani e soldati sbandati e di non aver timore di morire perchè lei aveva fatto solo del bene, voleva dire che era giunta la sua ora per il paradiso. La superiora, sorpresa e sbalordita, garantì per lei. ‘Non è vero, vi sbaglliate – diceva ai tedeschi - interrogate la gente del paese.’ ‘Eppure qualcuno del paese ci ha assicurato che aiuta i partigiani’ era la risposta. Dopo due o tre giorni di prigionia l’avvisarono che l’indomani alle 11 l’avrebbero fucilata in piazza De Ferrari, il centro della città, dove quasi tutti i giorni veniva giustiziato qualche ribelle. Non si perse d’animo e chiese di fare una telefonata perché ‘non si può negare l’ultima grazia a un condannato’. Chi abbia contattato il politico, quali autorità abbia smosso, non lo so, fatto stà che dopo mezzora arrivò l’ordine di liberarla. Venne affidata alla madre generale intenzionata a tenerla in convento, ma lei, cocciuta, volle ritornare a Predosa dove arrivò la sera stessa. Le raccomandazioni della superiora, i consigli della gente e lo scampato pericolo la convinsero a stare accorta. Eppoi poco dopo la guerra finì.
Attorno ai sessant’anni si ammalò e la portarono alla casa madre a Genova, a S. Martino dove nel ’63 morì.
La memoria di Suor Giacomina era ancora ben viva tanto che in una cappella vicino all’asilo c’era la sua foto con la scritta: ‘Suor Maria Giacomina, suora partigiana’. Era così stimata che gli dedicarono il nuovo asilo.”
Suor Giacomina aveva tenuto un diario, pubblicato nell’agosto ‘45 su un imprecisato quotidiano di Genova (si possiede solo una parte dell’articolo, uno spezzone senza testata ne data) dal quale veniamo a sapere che la sua attività di patriota ebbe inizio qualche giorno dopo l’8 settembre ’43, quando i paesani portarono quattro soldati sbandati all’asilo ai quali diede cibo e assistenza. Da quel momento fu un continuo confluire di militari di ogni nazione, assistiti con l’aiuto della popolazione. La situazione si fece difficile quando a Predosa s’insediò un presidio tedesco che indusse la suora a muoversi con maggior cautela per evitare rappresaglie. Ciò non la salvò dalla denuncia anonima di ‘sentimenti anti germanici’ che sfociò in una prima infruttuosa perquisizione, anche per il diplomatico intervento della figlia del Podestà che fungeva da interprete.
L’incidente non spaventò Suor Giacomina, che continuò la sua opera umanitaria. Nel marzo ’44 favorì anchè la formazione della sezione femminile di partigiane di ‘Nuvoletta’


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