A Varese ce n’erano due, una di lusso, da dieci lire, e una a buon mercato, cinque lire. Entrambe in via Idria, in una zona un po’ defilata, a ridosso delle Ferrovie nord, dietro via Maspero. Entrambe di proprietà del "milanese". Una a destra e una a sinistra, una di fronte all’altra.
Stiamo parlando della Varese fine anni ’50, per la precisione della città giardino così come si presentava fino a quel 20 febbraio 1958. Data in cui il Parlamento italiano abolì le case chiuse approvando la legge 75/58 promossa dalla senatrice socialista Angelina Merlin.
Ogni quindicina le ragazze cambiavano. Passavano con una carrozza dal centro della città, tutti lo sapevano e tutti le aspettavano. Andavano in questura per le registrazioni di rito e le visite mediche e poi subito in via Idria. Solitamente le ragazze non erano più di sei, tutte sui trent’anni. Una di queste veniva chiamata "topolino", perché minuta, era la più richiesta per certe sue prestazioni. Quando se ne andava tutti si affannavano a chiedere quando tornava.
A trovare le signorine ci andavano tutti anche le autorità. Nel casìno da cinque lire c’erano due entrate, quella principale e quella secondaria. Spesso quando arrivavano le autorità, laiche e non laiche, venivano fatte passare da dietro e l’entrata principale veniva bloccata per evitare che fossero riconosciuti.
Non esistevano i protettori, ma solo gli amici delle ragazze, e qualcuno di questi, dopo la chiusura delle case, se le è sposate. I controlli della polizia erano ferrei. I questurini passavano ogni sera a controllare, solitamente intorno alle dieci. I casini erano luoghi sicuri, a quei tempi c’era poco da scherzare. Magari rimorchiavano anche qualche marchetta gratis, ma tenevano tutto sotto controllo.
Le due case, seppure differenziate nelle tariffe, avevano una struttura molto simile. Sei stanze, dove le ragazze eseguivano le prestazioni e dormivano, un salone con delle panchine al piano terra, e una sala da pranzo dove le ragazze, la maitresse e gli amici mangiavano insieme. Per le autorità c’era anche un privè, un salottino al riparo da occhi indiscreti
La maitresse ,la Lina, era un donnone pratico, era della provincia pavese, e se ne stava sempre alla cassa, con in mano un frustino. Mentre all’entrata c’era la portinaia che controllava i documenti, ed erano molti quelli che li falsificavano.
Il casìno c’era anche a Luino, a Como e a Intra. Ma i più ambiti erano quelli di Milano, quello di via Meravigli e quello di via Fiori Chiari, mentre quello di via Botonuto aveva una brutta nomea.
Il 20 settembre del 1958, la legge Merlin liberalizza la prostituzione. A Varese le case di tolleranza chiusero due giorni prima di quello stabilito per legge.
E così le ragazze di via Idria si trovarono in mezzo alla strada, ad accoglierle solo qualche trattoria o piccole pensioni, che qualche camera potevano ancora affittarla per permettergli di continuare ad esercitare il mestiere più antico del mondo. Qualcuna portò all’altare l’amico della casa e qualcuna ritornò al suo paese.
Argomento un po' "particolare"......ma fa parte anch'esso della nostra storia.....
Stiamo parlando della Varese fine anni ’50, per la precisione della città giardino così come si presentava fino a quel 20 febbraio 1958. Data in cui il Parlamento italiano abolì le case chiuse approvando la legge 75/58 promossa dalla senatrice socialista Angelina Merlin.
Ogni quindicina le ragazze cambiavano. Passavano con una carrozza dal centro della città, tutti lo sapevano e tutti le aspettavano. Andavano in questura per le registrazioni di rito e le visite mediche e poi subito in via Idria. Solitamente le ragazze non erano più di sei, tutte sui trent’anni. Una di queste veniva chiamata "topolino", perché minuta, era la più richiesta per certe sue prestazioni. Quando se ne andava tutti si affannavano a chiedere quando tornava.
A trovare le signorine ci andavano tutti anche le autorità. Nel casìno da cinque lire c’erano due entrate, quella principale e quella secondaria. Spesso quando arrivavano le autorità, laiche e non laiche, venivano fatte passare da dietro e l’entrata principale veniva bloccata per evitare che fossero riconosciuti.
Non esistevano i protettori, ma solo gli amici delle ragazze, e qualcuno di questi, dopo la chiusura delle case, se le è sposate. I controlli della polizia erano ferrei. I questurini passavano ogni sera a controllare, solitamente intorno alle dieci. I casini erano luoghi sicuri, a quei tempi c’era poco da scherzare. Magari rimorchiavano anche qualche marchetta gratis, ma tenevano tutto sotto controllo.
Le due case, seppure differenziate nelle tariffe, avevano una struttura molto simile. Sei stanze, dove le ragazze eseguivano le prestazioni e dormivano, un salone con delle panchine al piano terra, e una sala da pranzo dove le ragazze, la maitresse e gli amici mangiavano insieme. Per le autorità c’era anche un privè, un salottino al riparo da occhi indiscreti
La maitresse ,la Lina, era un donnone pratico, era della provincia pavese, e se ne stava sempre alla cassa, con in mano un frustino. Mentre all’entrata c’era la portinaia che controllava i documenti, ed erano molti quelli che li falsificavano.
Il casìno c’era anche a Luino, a Como e a Intra. Ma i più ambiti erano quelli di Milano, quello di via Meravigli e quello di via Fiori Chiari, mentre quello di via Botonuto aveva una brutta nomea.
Il 20 settembre del 1958, la legge Merlin liberalizza la prostituzione. A Varese le case di tolleranza chiusero due giorni prima di quello stabilito per legge.
E così le ragazze di via Idria si trovarono in mezzo alla strada, ad accoglierle solo qualche trattoria o piccole pensioni, che qualche camera potevano ancora affittarla per permettergli di continuare ad esercitare il mestiere più antico del mondo. Qualcuna portò all’altare l’amico della casa e qualcuna ritornò al suo paese.
Argomento un po' "particolare"......ma fa parte anch'esso della nostra storia.....
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