mercoledì 13 aprile 2016

QUANDO A VARESE SI FACEVANO I FUNERALI IN TRAM

L'antico cimitero di Varese era posizionato nell'attuale via Maspero angolo piazzale Kennedy, sulla sinistra prima del ponte della ferrovia Varese - Porto Ceresio.
Tale cimitero secondo il cronista " può dirsi un carnaio per la poca sua ampiezza in modo che i cadaveri dopo sette od otto anni vengono levati ancora riconoscibili."
Le inumazioni cessarono nel 1880 e fu soppresso nel settembre del 1914.
Il cimitero di Giubiano fu attivato il 2 maggio 1880 chiamato " Nuovo Asilo dei Morti", mentre quello di Belforte iniziò la sua attività nell'ottobre del 1916 .
La tramvia Varese Belforte fu inaugurata l'8 febbraio 1916. Nella costruzione si tenne in considerazione di utilizzarla, oltre al trasporto dei passeggeri, anche per un servizio funebre espletato dal tram. Per questo scopo si costruì una stazione funebre su parte dell'antico cimitero nella quale dovevano essere depositate le salme dirette al cimitero di Belforte dopo la cerimonia religiosa. Il convoglio funebre partiva dalla strada del Macello, ora piazzale Kennedy, transitava per via Milano, via Casula, via Carcano e voltando a destra percorreva viale Belforte fino al cimitero. Sulla speciale carrozza, rimorchiata, potevano prendere posto: " a titolo gratuito:
1. Il Clero nel compartimento accanto alla salma
2. I necrofori e funzionari municipali addetti alle pompe funebri pei quali si assegnano posti in piedi sulla piattaforma posteriore.....
I posti in numero di sette riservati ai dolenti nello scompartimento apposito...saranno a pagamento e si fissa la cifra globale in L. 0,70 per la sola andata....".
Al ritorno si applicavano le tariffe in vigore.
Dal 1916 al 1940 i funerali utilizzarono questo curioso mezzo di trasporto.
Il binario di allacciamento della stazione funebre fu smantellato nel settembre del 1940, da allora per le tumulazioni furono usate i carri automobilistici,
la tramvia Bobbiate - Belforte cessò il 2 dicembre 1950.
Ultima in ordine di tempo ad essere realizzata fu la tramvia Varese-Belforte, lunga 3,721 Km, destinata a servire la zona Sud-Est della città lungo il viale Belforte, oltre il terrapieno della ferrovia Varese-Porto Ceresio, e a «dare un decoroso servizio funebre per il trasporto delle salme dei defunti» al nuovo cimitero in costruzione. Il capolinea cittadino di questa tramvia, anziché in piazzale Trieste, fu stabilito in piazza Podestà; presso il capolinea periferico un binario di raccordo penetrava all’interno del nuovo cimitero, attestandosi davanti alle porte di un fabbricato ad uso «stazione funebre», dove era la sala mortuaria.
Il servizio iniziò con corse ogni 30 minuti dalle ore 6 alle 20.15 e biglietto unico da 10 centesimi; le tariffe per lo speciale servizio funebre, rispettivamente per l’uso del solo rimorchio o di un intero convoglio, furono di 6 e 12 lire fino al 1918, di 17,50 e 40 lire dal 1918 al 1931 di 24 e 48 lire negli anni successivi.
Qualche parola meritano i veicoli impiegati per il servizio funebre per il cimitero di Belforte: due rimorchiate speciali per il trasporto dei feretri, munite di una piattaforma per i necrofori, di uno scompartimento per il clero e di un altro scompartimento per i parenti del defunto. Con regolamento comunale del 1916, fu stabilito che queste rimorchiate, del consueto colore bianco, portassero «diciture e simboli mortuari e fregi giallo oro e panneggi nell’interno della carrozza con stoffa grigia»; alle motrici dei treni funebri dovevano essere applicate durante il servizio mortuario delle tendine di colore scuro «in consonanza di quelle del rimorchio» e anche l’esterno dei telai dei finestrini doveva essere di colore bianco «per ragioni di decoro e allo scopo di contemperare i bisogni del servizio».



LA TORPEDINIERA "LOCUSTA" un mistero lungo 120 anni

La “Locusta” era una torpediniera della “Regia Finanza” che affondò la notte tra l’8 ed il 9 gennaio 1896 dopo esser salpata dalla base di Cannobio per un normale servizio di pattugliamento sul Lago Maggiore. Quello della “Locusta” è stato uno dei più grandi punti interrogativi delle vicende che hanno interessato il lago. L’ unità, classificata come “torpediniera costiera di quarta classe” (lunga 19,20 metri, capace di una velocità di 17 nodi e dotata di un cannone a ripetizione “Nordenfeldt” ) era tra quelle acquistate dalla Regia Marina 
nei cantieri pattuglia copertinaThornycroft di Londra nel 1883, per essere imbarcata su navi da battaglia. All’atto pratico si dimostrò inadatta all’impiego bellico e quindi ( insieme ad altre ) fu dislocata sul lago Maggiore ed affidata alla “finanza” per essere adibita alla vigilanza doganale sul confine con la Svizzera. Cosa accadde quella notte, è rimasto un mistero. Come se la torpediniera fosse sparita in una specie di “buco nero”. Dalle cronache dell’epoca si evince che era salpata da Cannobio in direzione di Maccagno, e il tempo risultava buono: “cielo sereno e lago calmo, con una fredda brezza spirante da nord dalla vicina Svizzera”. L’equipaggio era al completo. Erano in dodici, a bordo: otto marinai della Regia Marina e quattro guardie di finanza. 
Durante la navigazione notturna sul lago, all’improvviso, il tempo volse al brutto: si alzò un vento impetuoso con raffiche di tramontana e, subito dopo la mezzanotte,si scatenò una furiosa tempesta.Le acque si agitarono, le correnti diventarono impetuose, i lampi squarciarono il cielo gonfio di nubi nere. La “Locusta”, sorpresa dall’improvvisa burrasca, dovette mutar rotta ,dirigendosi verso la vicina Punta Cavalla sulla riva lombarda del lago, per cercare riparo alla violenza della tramontana. Il riflettore della torpediniera venne avvistato da Cannobio per l’ultima volta poco dopo la mezzanotte del 9 gennaio 1896. Poi il buio e più nulla.Non ricevendo risposta ai ripetuti segnali di richiamo lanciati da terra, venne subito fatta uscire la torpediniera-gemella, la "Zanzara” per le ricerche immediate ed il soccorso ai naufraghi, ma nonostante la lunga e minuziosa perlustrazione su tutto lo specchio d’acqua tra Cannobio, Cannero, Maccagno e Pino ma non venne trovata traccia alcuna di superstiti né di relitti. Il lago si era letteralmente “inghiottito” l’unità navale con tutto l’equipaggio di bordo. I dodici militari risultarono così “dispersi in servizio, nell’adempimento del dovere”. Cosa accadde alla “Locusta”, quella notte, fu oggetto di molte ipotesi. Forse il natante venne “rovesciato da una raffica impetuosa” e le acque si rinchiusero sull’equipaggio “rifugiatosi sotto coperta per ripararsi dalla burrasca, tranne il capo-timoniere comandante, bloccato anch’esso, ma nella cabina di governo”. Non si poteva neppure escludere che “in quel momento fatale, furono i portelli aperti dell’osteriggio di macchina, a determinare l’allagamento dei locali di bordo”. E come non prendere in considerazione l’eventualità di “ una esplosione delle caldaie esterne, dovuta ad un’onda improvvisa”.
Supposizioni a parte, resta il fatto che tutte le ricerche ed anche l’inchiesta che venne aperta non diedero alcun risultato.Anche i vari tentativi intrapresi nel tempo, basati sulla ricostruzione della rotta e delle posizioni indicate dalle cronache dell’epoca, si sono conclusi senza troppa fortuna e nessuno con successo. Negli anni ’80 il relitto era stato ricercato in due occasioni:anche con l’intervento di una unità della marina militare italiana, guidata da un ammiraglio, con l’intento di recuperare almeno il natante per esporlo al museo nazionale di Ostia, in quanto unico esemplare rimasto della serie di torpediniere costruite all’epoca. Ma, ambedue le immersioni diedero esito negativo poiché il fondale del lago è coperto da grandi depositi di terra e di melma. A memoria dei dodici dell’equipaggio della “Locusta” resta il monumento ( un timone sorretto da putrelle di ferro sopra un blocco di pietra con i nomi delle vittime), nei pressi del porto militare della Guardia di Finanza a Cannobio.
l'equipaggio


il monumento alla memoria


domenica 10 aprile 2016

LA COLONIA ENRICA MAINO - Cugliate Fabiasco (VA)

In Valmarchirolo c'è un luogo oramai dimenticato, che è stato meta di vacanze felici per molti bambini: la Colonia Maino.
La colonia ha una storia di oltre cent'anni, fu infatti costruita dal comune di Gallarate, grazie alla benefattrice Enrica Maino, al termine della prima guerra mondiale per i bambini rimasti orfani.
La colonia poteva ospitare sino a 150 bambini. Il parroco, don Natale Motta, si prese a cuore le sorti di questi bambini e li aiutò a studiare. 
Una curiosità: intorno al 1910 all'interno della colonia vivevano due tedeschi, li chiamavano "i botanici", facevano degli esperimenti e pagavano bene i lavori che si faceva per loro, peccato però che in realtà erano delle spie con l'ordine di controllare il territorio e verificarne le reali possibilità di passaggio di truppe in caso di conflitto!!
Le segnalazioni venivano mandate tramite il comodo segnale morse con delle luci verso la Svizzera e per poi essere rimandate in Germania....
Con l'avvento del primo conflitto mondiale furono scoperti e fucilati....
Purtroppo come ben sappiamo tutti con l'avvento delle comodita', della disponibilità economica e la possibilità x tutti di avere un auto le cose cambiarono radicalmente già verso gli anni 70, gli orizzonti si allargavano e le nostri valli sembravano "perdere" il fascino di un tempo, così è successo che tutto è andato a perdersi ....in rovina....
la casa dei "botanici"







giovedì 7 aprile 2016

CARTIERA VITA MAYER - CAIRATE (VA)


La cartiera Vita Mayer di Cairate è attualmente una area dismessa di 414.823 mq, ma sino al 1975 fu un importantissimo centro di occupazione della Valle Olona. Costruita nei primi anni del '900, la cartiera testimonia l'importanza e l'impatto che ha avuto il settore industriale lungo le rive dell'Olona durante tutto il secolo.Per questo motivo e per la sua storia molti letterati italiani definiscono l'Olona come fiume di civiltà.
Già nel 1744 era attiva a Cairate, presso il Mulino delle Monache, una folla di carta, e nel 1772 era

documentata l'esistenza di un'altra piccola folla di carta presso Lonate Ceppino. La prima, nel 1853, venne ampliata e trasformata in una piccola cartiera, che passò più volte di proprietà divenendo, nel 1881, la Cartiera Canziani & C. Nel 1891 l'attività fu rilevata da Enrico Vita, che la ribattezzò (1897) Cartiera Enrico Vita & C.; la ampliò con nuove costruzioni e l'acquisizione della 'folla' di Lonate Ceppino.
Nel 1899, alla sua morte, la gestione passò ai figli e la ditta prese nome di Fratelli Vita; pochi anni dopo, con il matrimonio tra Tilde Vita e Sally Mayer, membro di un'importante famiglia industriale torinese, la denominazione divenne quella definitiva e famosa di Cartiera Vita & Mayer. Fu più volte colpita da violente alluvioni dell'Olona (1908, 1911 e 1917), ma ciò non ne rallentò lo sviluppo: un nuovo rinnovamento dei macchinari avvenne durante la Prima guerra mondiale, e negli anni '20 e '30 furono costruiti nuovi ed enormi edifici ed una scuola professionale per la formazione dei dipendenti. Nel 1937 entrò in funzione un impianto per la produzione di cellulosa, ma l'anno successivo i Mayer, famiglia ebrea, furono costretti ad emigrare per via delle leggi razziali, mentre la proprietà dell'industria passò al governo. Nel 1940 i dipendenti erano 985. 
I Mayer riebbero la cartiera già a fine aprile 1945, e diedero l'avvio ad un grandioso piano di rinnovo: tra quell'anno ed il 1949 lo stabilimento venne ampliato con nuovi ed immensi padiglioni, e sulla collina soprastante fu eretta una centrale elettrica con una svettante ciminiera in cemento che ne segnala tuttora la presenza. Per ampi tratti della sua storia il sito fu servito dalla ferrovia della Valmorea (di cui i binari ancora oggi si possono osservare). Attualmente, invece, l'area è arricchita dal passaggio a pochi metri di distanza della pista ciclo-pedonale della Valle Olona da cui si può ammirare la maestosità dell'aerea dismessa. Molti degli stabili dei 68.971 mq di superficie coperta hanno un valore architettonico considerevole poiché sono costruzioni con oltre cinquant'anni di età. Sfortunatamente però, l'interno dell'area privata non è agibile e a oggi nessun progetto di riqualifica e valorizzazione ha avuto risultato a causa dell'ampiezza del sito e i relativi costi.
Si possono incontrare delle ottime panoramiche dell'area sul viadotto di Cairate e dal rione Barlam durante la stagione invernale, poiché durante l'estate la folta vegetazione è protagonista nella valle. La rigogliosa flora del Parco RTO fa da contorno al degrado dei giganteschi stabili, in un quadro nel quale, per gli abitanti del luogo, regna un sentimento di nostalgia a ragione del deterioramento e dell'abbandono di una zona che per tutto il secolo è stata immagine di sviluppo e progresso economico.

i vecchi binari della Valmorea che servivano la Vita - Mayer

la pista ciclo-pedonale della Valle Olona


operai nel campo scuola di basket della ditta
interno della ditta oggi




lo spazio occupato dall'ex cartiera

Vita-Mayer negli ultimi anni di attività

QUANDO L'ORIENT EXPRESS FERMAVA A STRESA E PALLANZA

Intrighi sentimentali e thriller si legano nell’immaginario letterario e cinematografico all’Orient Express, il treno che dal 1883 fino al 1962, con la sola interruzione delle due guerre mondiali, collegò Parigi con Vienna per poi raggiungere addirittura Istanbul, allora ancora chiamata Costantinopoli.
Il Simplon Orient Express rappresenterà, soprattutto negli anni del primo dopoguerra, un vero e proprio veicolo promozionale per il Lago Maggiore: è il periodo nel quale, a seguito dell’apertura del tunnel del Sempione nel 1906, cominciano a sorgere i grandi alberghi. Il Simplon Orient Express fa tappa in quegli anni proprio sul Lago Maggiore: l’orario dell’epoca prevedeva la partenza da Londra alle 8,50 e l’arrivo a Bucarest alle 16,30 di due giorni dopo. Sulla sponda piemontese del Verbano erano previste in orario le fermate a Pallanza (12,52) e Stresa (13,05).
Fra Domodossola e Milano la ferrovia costeggiava il Lago Maggiore e la famosa Isola Bella poteva essere vista dal treno. Mentre il convoglio viaggiava in un paesaggio ameno, i passeggeri erano intenti a gustare il pasto appena preparato nel vagone ristorante. Domodossola è la prima grande stazione ferroviaria dopo il confine svizzero. Ad ogni confine la locomotiva doveva essere cambiata. Ciò non avvenne nel piccolo paese di frontiera Iselle, perché la linea del Sempione fino a Domodossola era stata costruita dalle ferrovie elvetiche. Il voltaggio dei cavi era differente da quello adottato in Italia, così solo a Domodossola al treno fu attaccato un locomotore italiano. La ferrovia fino a Milano era stata elettrificata dal 1947. Per i passeggeri il cambio di locomotore era un’occasione per cambiare valuta, comprare riviste e bibite.
L'Orient Express in partenza da Baveno


l'ingresso nel tunnel del Sempione


il campanile di Baveno dal vagone ristorante


passeggeri acquistano la Birra Poretti

martedì 5 aprile 2016

LARIOSAURUS- Anche il lago di Como ha il suo "mostro"

Il lariosauro è un rettile appartenente ai notosauri, vissuto nel Triassico medio (Ladinico, circa 237-235 milioni di anni fa). I suoi resti fossili sono stati ritrovati in Europa.
Si trattava di un rettile acquatico, ormai estinto, vissuto 235 milioni di anni fa. I suoi resti fossili sono stati ritrovati in Europa, tra cui anche nel Nord Italia. Il primo esemplare, infatti, venne alla luce nel 1830 a Perledo, una località nei pressi del Lago di Como, sulla stessa sponda del lago nella provincia di Lecco. Questo animale è noto per numerosi esemplari, provenienti per lo più dal Nord Italia. In media gli esemplari adulti di Lariosaurus avevano una lunghezza compresa tra 60 centimetri e 1,30 metri; ciò li rende tra i più piccoli notosauri conosciuti.
La leggenda del mostro del Lario nacque infatti nell’immediato Dopoguerra, quando nel 1946 il «Corriere Comasco» scrisse di un misterioso ed enorme animale apparso nelle acque del Pian di Spagna. Da allora le apparizioni si susseguirono, nel 1954 ad esempio dei pescatori avvistarono uno strano animale che nuotava nelle acque di fronte ad Argegno, lungo un’ottantina di centimetri e con il muso e la parte posteriore del corpo arrotondata e le zampe palmate, come un’anatra. L’episodio più eclatante solo tre anni dopo, nel 1957, quando ad agosto tra Dongo e Musso venne avvistato un enorme mostro la cui presenza venne confermata, il mese successivo, da alcuni biologi che si immersero nel lago con una batisfera e videro uno strano animale con la testa allungata come quella di un coccodrillo.
Già da tempo qualcuno aveva pensato a qualche discendente, misteriosamente sopravvissuto, del Lariosaurus Balsami, il primo rettile fossile rinvenuto in Italia a metà 800, lungo tra i 50 e i 110 centimetri. Un mostro bonario, che non avrebbe sfigurato in un cartone animato della Disney, ghiotto di pesci che pescava nelle profondità del Lario, oltre 200 milioni di anni fa. Il fossile più lungo di Lariosaurus è custodito nel museo di Monaco di Baviera ed è lungo 90 centimetri, dopo che nei bombardamenti del 1943 venne distrutto l’altro esemplare, custodito nel Museo di Storia Naturale di Milano che era lungo 1 metro e 30 centimetri. Oggi sul Lario del mostro dimenticato sono rimaste poche tracce fossili e qualche leggenda popolare, anche quella sempre più sbiadita.

fossile del Lariosauro

rappresentazione del Lariosauro della Domenica del Corriere 1940


IL CIMITERO CECOSLOVACCO A SOLBIATE OLONA (VA)

Dall’anno 1918 al 1964, Solbiate Olona ospitò un cimitero militare cecoslovacco che ha ospitato fino a 600 salme, unico in Italia.
Va premesso che, sul "Bollettino della Vittoria" di Armando Diaz, che è ancora impresso sul bronzo all’entrata di molte caserme italiane, si parla di una Divisione «Czeco-slovacca» che aveva contribuito alla nostra vittoria nella Grande Guerra. La cosa appare abbastanza strana perché nel periodo 1915-1918 non esisteva una nazione cecoslovacca e sia i cechi sia gli slovacchi militavano nell’esercito austriaco, quindi erano nostri nemici!
Ma...in pochi sanno della presenza di un campo di prigionia per soldati austroungarici, soprattutto di nazionalità cecoslovacca, sul territorio dei Comuni di Fagnano Olona, Cassano Magnago e Busto Arsizio, in Provincia di Varese. Il vasto campo d’internamento (che arrivò a contenere sino a 45.000 prigionieri) includeva anche l’area dove oggi è situata la Caserma “Ugo Mara”, nel Comune di Solbiate Olona, oggi sede della NATO in Italia. La Caserma infatti, nata nel 1913 come avio superficie militare e successivamente adibita a deposito dell’Esercito Italiano e, dagli anni ’60 del secolo scorso, a sede di vari reparti sempre dell’Esercito, era stata in parte trasformata, dal 1918 all’inizio del 1920, in campo di internamento per prigionieri cecoslovacchi.
Militari e prigionieri cechi e slovacchi che costituirono i battaglioni volontari e che nel nostro Paese diedero vita, nel 1918, alla cosiddetta Legione Cecoslovacca. Della presenza di questi soldati rimanevano solo pochi accenni in qualche racconto memorialistico e alcuni richiami sul cosiddetto “Cimitero Cecoslovacco” in Solbiate Olona dove erano inumati oltre 500 militari, deceduti per malattia..
.Nel 1924,con il contributo della popolazione locale e, soprattutto della fabbrica Tobler , il cimitero è stato ristrutturato con crocie tombe di cemento. Il 4 novembre 1924 si è tenuta una consacrazione eduna cappella che è stata costruita lì.
Nel 1964 le salme sono state traslate nel cimitero militare austroungarico di Cittadella, Padova.

la lapide a ricordo dei soldati cecoslovacchi presso il cimitero di Solbiate O.

la mappa delle tombe



"In straà Fagnan, a 'a svoeulta da Sulbià
su na campagna piena da crusuni
storti e da legn che guardan a pasà
ga cresi l'erba a l'ombra da piantuni"

Così il poeta Luigi Caldiroli localizzava con precisione in una sua poesia il Cimitero militare di Solbiate ove erano sepolte le salme di 550 soldati Cecoslovacchi.