giovedì 26 maggio 2016

SANT'ARIALDO - L'ERETICO CHE MORALIZZO' LA CHIESA PARTENDO DA VARESE

il 27 giugno, Angera celebra Sant’Arialdo con la tradizionale processione delle barche illuminate. La fiaccolata sul lago avrà inizio alle 21 e partirà dal porticciolo di fronte al Santuario della Madonna della Riva fino a raggiungere l’Isolino Partegora. Ma cosa lega la storia di Arialdo da Carimate, vissuto nell’anno Mille, alla cittadina della Rocca? 
Arialdo era originario della Brianza, probabilmente di Cucciago (o forse di Carimate). Venne ordinato diacono per l'Arcidiocesi di Milano.
Arialdo, insieme a Anselmo da Baggio, Landolfo Cotta, e Attone, era stato scelto da un'assemblea popolare, formata da chierici e laici, come possibile candidato alla successione dell'arcivescovo defunto. L'imperatore Enrico III il Nero (1017 – 1056), però, preferì operare una scelta autonoma e investì del titolo arcivescovile Guido da Velate.
Nel 1056, a Varese, come reazione a questa corruzione dilagante Arialdo da Carimate, con Landolfo Cotta ed Erlembaldo Cotta, fondò un movimento politico-religioso di carattere ereticale e pauperistico chiamato Pataria, dal milanese patée (robivecchi). 
Arialdo cominciò a predicare contro i mali della Chiesa, che identificava soprattutto nella simonia e nel nicolaismo (il nome carico di disprezzo con cui si identificava il matrimonio dei preti - allora ancora normale nella diocesi di Milano - con una eresia del cristianesimo primitiva). È possibile che in quegli anni Arialdo fosse maestro, o addirittura direttore, della scuola "plebana" di Varese.
Nella sua predicazione contro gli errori del clero, Arialdo si rivelava come esponente di una esigenza religiosa nuova: i primi consensi, li raccolse tra i laici, più specificamente tra i piccoli proprietari terrieri.
Nel 1066, quando il papa consegnò ad Erlembaldo il Gonfalone della Chiesa e due bolle di richiamo al clero milanese e di scomunica per Guido da Velate, questi si ribellò, e nei durissimi scontri del 4 giugno furono feriti Erlembaldo, Arialdo e Guido, che lanciò l'interdetto su Milano finché Arialdo non ne fosse uscito.
Arialdo lasciò la città, ma fu catturato dagli uomini di Guido e portato nel castello di Angera per essere interrogato. Qui fu castrato, amputato della mano destra, torturato a morte e, il 27 giugno, gettato nelle acque del Lago Maggiore.
Narra la leggenda:
Poco tempo dopo la morte di Arialdo, Andrea da Strumi giunse ad Angera alla ricerca dell’amico Arialdo e nei pressi della chiesa di San Pietro (località Bettola) trovò due donne in lacrime. Dopo averle rincuorate, si fece raccontare la ragione del loro turbamento e, con malcelato timore, esse dissero: ".. in questi giorni è stato consumato un così grave delitto, che stiamo aspettando con ansia che Dio onnipotente ci sprofondi tutti quanti all’inferno, in seguito a tale efferatezza; e tu ci chiedi perché stiamo piangendo?…" Con un gesto della mano indicarono l’isolino come luogo dell’orrendo delitto. Poi le due donne, levando gli occhi verso il cielo che si stava rannuvolando, gridarono: ricordo dell’orrendo misfatto tutti i Santi del Paradiso nel giorno del sacrificio di questo martire verseranno su queste terre le loro lacrime”. I mesi passavano e nessuno più voleva ricordare quell’evento tragico. 
Un giorno, mentre un anziano pescatore di Angera era intento a tirare in barca le reti brontolando tra sé "Anca in coeu piot e bucaluni", ebbe un presentimento che lo spinse a remare verso il centro del lago. Giunto all’altezza della rocca di Arona, gettò di nuovo le reti in acqua e dopo aver consumato un frugale pasto fatto di pane con un leggero strato di "Sancarlin", si sdraiò sul fondo della barca per farsi riscaldare dai primi tiepidi raggi del sole primaverile.
Dopo alcune ore, l’uomo riprese a tirare le reti in barca. Quanta grazia di Dio! Lavarelli, persici, salmerini in abbondanza. Alzò gli occhi al cielo per ringraziare il Padre Eterno e in quel preciso momento vide una luce intensa avvicinarsi alla barca. Dopo un attimo di smarrimento e di stupore, il pescatore ebbe l’impressione di scorgere una figura umana in mezzo ad una palla di fuoco. Non diede però molta importanza alla cosa, anzi pensò: "Ho ciapà trop sul" e si rimise di buona iena a lavorare. Mentre remava per raggiungere la riva di Angera, la sua mente non riusciva a pensare ad altro che a quella misteriosa figura. Così, quando raggiunse la riva, si mise a raccontare ad alcuni pescatori quanto gli era capitato e in quel preciso momento ebbe la chiara sensazione di aver già incontrato quell’uomo, a Milano, anni prima. Sforzandosi di avere una illuminazione chiuse gli occhi e all’improvviso riuscì a dare un nome ai ricordi ancora vaghi: Arialdo era la figura vista in mezzo alle acque.



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