domenica 29 maggio 2016

VLADIMIRO PANIZZA DA FAGNANO OLONA - LA "ROCCIA" DEL CICLISMO

Panizza ha corso il Giro d'Italia per 18 volte, un record che probabilmente resterà imbattuto. A quarant'anni era ancora in sella, indistruttibile. Per questo si era meritato il soprannome «la Roccia», perchè sembrava fatto di acciaio, non mollava mai. Correva proteggendo i suoi capitani, prima Moser e poi Saronni, ma spesso si trovava davanti perchè, nel profondo del suo animo, sapeva di essere anche lui un capitano.
La storia di Panizza inizia nel rigido inverno del 1944, quando, sulle montagne, il partigiano Angelo Panizza, pensando al figlio che doveva nascere, decide di chiamarlo Wladimiro, in onore a Lenin. E quel figlio che vede solo per pochi anni, forse, del partigiano, aveva la tempra.
In oltre 25 stagioni il piccolo corridore varesino ha saputo regalare grandi emozioni, ma ha avuto il torto di nascere in un momento sbagliato, in un periodo, nel ciclismo degli anni Sessanta, dove i grandi comandavano e i gregari lavoravano. Eppure Miro Panizza da Fornaci di Fagnano Olona, varesino, nel 1967, anno del debutto tra i «prof» aveva mostrato le sue caratteristiche di scalatore nella tappa del Giro conclusasi alla Tre Cime di Lavaredo. Aveva vinto Gimondi, precedendo di pochi secondi Merckx e Motta.
Poiché c' erano state spinte davvero scandalose, Sergio Zavoli al «Processo alla tappa» aveva indotto Torriani ad annullare la frazione. Il solo che aveva raggiunto il traguardo con le proprie gambe, piazzandosi alle spalle dei «tre mostri» era stato proprio Panizza. Gli fu tolta la vittoria per l'annullamento della tappa a causa di spinte e traini abusivi dei quali avevano beneficiato gli altri corridori. Tra le lacrime invocava giustizia, ma non poteva andare contro i «grandi del momento». Così dovette accontentarsi degli elogi del «Processo alla tappa».
Non sarà l’ultimo dolore, quello lassù, alle Tre Cime: il ciclismo è uno sport che a volte ti vuole bene e altre ti maledice. L’anno dopo, durante un allenamento, un camion lo butta a terra e la sua ammiraglia lo investe. Il povero Miro non ci crede quando gli dicono che ha subito una lacerazione dei legamenti del perone, la frattura del malleolo e molte lesioni al bacino. Ma, oltre che buono, Panizza è anche paziente con il suo destino: “La vita a volte è dura” dice, “ma c’è sempre qualcosa di peggio. E allora ho imparato ad accettare serenamente il bene e il male.”
Così nel 1969 torna in sella, a lavorare per Gimondi. 
Wladimiro Panizza appese la bici al chiodo nel 1985, quando le candeline da spegnere erano quaranta. E’ ancora suo il record di ben sedici Giri d’Italia portati a termine su diciotto.
Scompare premutaramente, a causa di un attacco di cuore nel giugno del 2002, a soli 57 anni, poco prima di trasferirsi nella sua bucolica residenza estiva di Boarezzo.
Dal 2003 a Valmorea, in provincia di Como, è stata inaugurata una struttura d’accoglienza per bambini disabili, che porta il suo nome: La casa di Miro, realizzata dai Bindun (girovaghi in dialetto comasco), un gruppo composto da campioni sportivi del passato con il fine di realizzare opere di beneficienza. E proprio per finanziare questi progetti, ogni anno a settembre si svolge una manifestazione ciclistica amatoriale alla sua memoria, intitolata: In bici ricordando Miro.





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